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Bosnia, Frattini: l’ufficio dell’Alto rappresentante andrebbe chiuso

In the decoration ceremony held in “Brigade Palace” were present PM Berisha
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Recentemente avete avuto la nomina per un prestigioso incarico nel  Partito Popolare Europeo. Quali sono i principali compiti della nuova missione?

Il 6 giugno scorso il Partito Popolare Europeo si è riunito a Bruxelles, sotto la presidenza di Wilfried Martens, per lanciare il nuovo gruppo di lavoro adhoc sulla politica estera. Un’iniziativa che ho l’onore di co-presiedere insieme al vicepresidente del Ppe ed europarlamentare portoghese Mario David, e di cui fanno parte ex ministri degli Esteri, membri del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali.L’obiettivo principale del gruppo è quello di contribuire alla formazione di una linea di politica estera del PPE che si concentri principalmente sul partenariato orientale, il Medio Oriente e Nord Africa, i Balcani occidentali, la dimensione transatlantica, le relazioni con i paesi emergenti (BRIC).  Last but not least, avrà anche il compito di vigilare su alcuni pilastri del PPE che riguardano la sfera della protezione dei diritti umani e la tutela delle minoranze. Quest’ultimo in particolare, resta un punto chiave dell’agenda del prossimo appuntamento del gruppo che si terrà la prima settimana di settembre, in cui il Ppe prenderà una posizione molto netta ed elaborerà alcune proposte concrete in vista del successivo Consiglio europeo, affinché si possa davvero arrestare il fenomeno dell’intolleranza religiosa, spesso sfociata – come dimostrano i casi in Nigeria e Kenya – in atti di vera e propria persecuzione.

L’Europa si è trovata in una crisi profonda. Cosa ci si può aspettare come risultato?
Ci sono fasi storiche in cui, in un breve lasso di tempo, avvengono cambiamenti forti e radicali. Ma è solo governando, e non subendo, questi cambiamenti che si possono fortificare i nuovi assetti. E’ successo anche in Europa, la regione del mondo finora più stabile e sicura, con l’arrivo di un’improvvisa crisi economico-finanziaria che ha colpito duramente quasi tutti i paesi. Una turbolenza, certamente anche politica, nata in America e che si è ormai contagiata dalle finanze agli Stati fino al cuore dell’Unione. Una crisi che va gestita con la ricetta della solidarietà e non dell’egoismo. Perché gli egoismi nazionali – di cui si ricordano ancora tanti esempi nella storia – sono la tomba dell’Europa. Gli egoismi tradiscono la dignità e il valore di ogni persona umana che è per il Ppe il primo pilastro della carta dei nostri valori.

Uscire dalla crisi? 
Si può, e solo se chiederemo più Europa e non meno Europa. Perché se non vogliamo rassegnarci alla dittatura degli spread e dei mercati regolati dalle speculazioni, occorre dare  più forza politica e più legittimazione popolare all’Europa di oggi,  in modo da farla avanzare rispetto all’incompiuta di Maastricht. E questo vuol dire innanzitutto salvaguardare l’occupazione dei nostri cittadini, ribadire la centralità della difesa dei risparmiatori e dei loro depositi bancari, così come della liquidità per il tessuto imprenditoriale, costruire l’unione politica, bancaria e il Governo europeo dell’economia.

Quando il Vostro partito potrebbe tornare al potere in Italia?
Al momento in Italia esiste una larga maggioranza, di cui il Pdl fa parte, che ha deciso di sostenere con responsabilità e per il bene del paese il governo del presidente Mario Monti. Il Pdl partecipa, quindi, ad una continua e proficua consultazione governo-partiti che ha portato ad approvare in questi mesi alcune riforme importanti. Mi riferisco, ad esempio, alla riforma del lavoro, approvata solo qualche giorno fa.

Certamente ci auguriamo anche di poter tornare a governare l’Italia da protagonisti. L’obiettivo sono le elezioni nel 2013. Ma per poter ricevere un nuovo mandato dagli elettori dovremo tornare ad iniettare fiducia e credibilità nella politica. Questo vuol dire, innanzitutto, fare ciò che non siamo riusciti a portare a termine in questi anni. Partendo da una nuova legge elettorale che restituisca la scelta agli elettori, approvando il taglio dei parlamentari, e rendendo i partiti più trasparenti. Mi auguro anche che ci si possa presentare alle prossime elezioni con quel progetto di “grande casa dei moderati” lanciato già qualche anno fa dal presidente Berlusconi e che potrebbe vedere oggi riunite in un unico progetto tutte le forze politiche italiane  che si riconoscono nel popolarismo europeo. Perché aveva ragione il grande Alcide De Gasperi quando diceva “solo se uniti saremo forti”. Solo se uniti, quindi, potremo tornare a vincere.

Quanto riuscite a seguire  gli avvenimenti politici in Bosnia? E in che modo valutate la situazione attuale in questo paese?
Non è un mistero l’impegno che ho sempre portato avanti con convinzione per l’integrazione dei Balcani nell’Ue: prima come vicepresidente della Commissione Europea, poi come ministro degli Esteri. Ed anche oggi nel mio ruolo di responsabile affari internazionali del Pdl e co-chair del nuovo gruppo ad hoc del Ppe, continuo a guardare alla Bosnia come ad un paese determinato nel voler superare le insidie del passato per puntare alla stabilizzazione interna e della proiezione internazionale. E’ su questi segnali che in passato ho anche offerto la mia più ampia disponibilità,  ad esempio offrendo il sostegno dell’Italia all’abolizione dei visti e insistendo sui passi necessari per  garantire l’avanzamento della Bosnia-Erzegovina sul cammino dell’integrazione nell’Unione europea e nella Nato. Resto, quindi, fermamente convinto che la prospettiva europea per la Bosnia sia la via maestra per superare le tentazioni di ritorno a pericolose logiche del passato e per garantire la stabilità istituzionale. E mi auguro che il nuovo governo sappia cogliere l’importanza di questa opportunità storica e porti a termine con forza e fiducia i processi di riforme per incamminare il paese verso l’Europa.

E ‘ancora in corso la discriminazione politica delle minoranze croate in Bosnia-Erzegovina. Quanto aiuto i croati della Bosnia ed Erzegovina possono aspettarsi dalla CE su questo tema?
In un modo globalizzato i confini e le discriminazioni non sono più possibili. Al contrario vanno superate facendo causa comune tra gli interessi e le culture delle diverse minoranze. L’Europa lavorerà con equilibrio ed attenzione nell’interesse di tutta la Bosnia, e non di una sola parte.

Pensate che la Comunità Internazionale non debba più imporre soluzioni politiche in Bosnia-Erzegovina, e che lo Stato stesso dovrebbe operare esclusivamente su accordi di politici della Bosnia-Erzegovina?
Il nodo chiave resta quello di passare dalla logica degli accordi di pace di Dayton a quella di avvicinamento all’Europa. In particolare, dopo 17 anni dalla sua nascita, andrebbe chiuso l’ufficio dell’Alto rappresentante (istituito proprio da Dayton nel 1995) per passare ad un ruolo guida da parte dell’Unione Europea. Ad oggi, invece, questo passaggio non è ancora avvenuto, mentre il contesto bosniaco continua a registrare alcune difficoltà nel procedere verso una definitiva stabilizzazione. E’ in questa prospettiva, che esattamente due anni fa avevo riunito a Sarajevo la conferenza Ue-Balcani occidentali, storico incontro che ha visto presenti i ministri degli Esteri dei 27 stati membri dell’Ue, dei paesi della regione (Albania, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Fyrom, Kosovo, Montenegro e Serbia), nonché di Russia, Turchia e Stati Uniti. Nella dichiarazione finale del vertice fu riconosciuto l’inequivocabile impegno verso la prospettiva europea dei paesi dei Balcani occidentali, essenziale per la stabilità e lo sviluppo della regione. Vennero poi sottolineati anche i progressi importanti fatti nelle riforme politiche ed economiche. Le maggiori sfide della regione restano, invece, le riforme legislative e amministrative, così come quelle giudiziarie e la lotta contro la corruzione e il crimine organizzato: tutte questioni chiave per il funzionamento della democrazia e dell’economia.

Sono cominciati i preparativi per la manifestazione “Il Timbro d’Oro” del Corriere della Sera.  La vedremo il prossimo anno a questo evento?  Le piacerebbe visitare Mostar, Medjugorje  e l’ Erzegovina?
Sarajevo è stata per lungo tempo un simbolo di guerra, mentre oggi è un simbolo di rinascita. E tornare in un posto dove oriente ed occidente si fondono ha un fascino a cui difficilmente si può resistere. Ecco perché mi vedrete con piacere nella vostra terra ogni volta che mi si presenterà l’occasione.


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