Diritti e libertà

Caso Regeni, Frattini: “Egitto dimostri di essere Stato di diritto”

«Il governo del Cairo deve mettere in condizione di lavorare gli investigatori giunti dall’Italia. Troppi errori perché il delitto sia firmato da agenti deviati»
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TRIESTE. «Dimostrare che lo Stato di diritto funziona è una sfida per l’Egitto. La permanenza degli investitori stranieri dipende dalla sicurezza che un paese assicura». Un’osservazione economica, quella di Franco Frattini, più volte ministro, l’ultima volta agli Esteri, che non dimentica tuttavia «il dovere di verità che abbiamo verso la famiglia di Giulio Regeni.

Un dovere per tutte le vittime, tanto più per un povero ragazzo che era in Egitto per studiare, non certo per compiere atti violenti». Di fronte a queste cose, rimarca il presidente della SioiSocietà italiana per l’organizzazione internazionale, «ci si deve fermare: è più opportuno incoraggiare l’Egitto verso lo Stato di diritto che verso nuovi investimenti. Un interesse strategico anche per l’Italia».

Qual è il ruolo dell’Egitto nel contesto internazionale? Ho sempre ritenuto che un Egitto forte e stabile fosse una garanzia per l’intera regione. Lo dicevo quando c’era Mubarak, quando è arrivato Morsi e lo ripeto oggi che c’è al-Sisi. Visto quello che accade ai confini, se esplode l’Egitto i problemi riguarderanno tutto il Medio Oriente allargato.

Si scoprirà la verità? Per riuscirci è fondamentale che il governo egiziano metta in condizione di lavorare anche la squadra di investigazione italiana.

Che idea si è fatto di quanto accaduto? L’uccisione del nostro connazionale è sintomo di una degradazione del regime. Certo non è un episodio legato alla criminalità comune. Né è un atto terroristico. Credo che gli scenari possibili siano due. Il primo quello della resurrezione delle squadre della polizia segreta che erano state soppresse da Morsi e risuscitate appunto da al-Sisi. Ci potrebbe in sostanza essere stata la volontà di far sparire una persona che in qualche modo lavorava per l’opposizione all’attuale sistema.

Il secondo scenario? La presenza nell’ambito dei servizi di sicurezza di un’ala deviata che rema contro il regime. In sostanza, un regolamento di conti interno. Qualcosa di strano effettivamente c’è. Una polizia segreta che agisce su ordine del regime non lascia una vittima in un luogo così visibile com’è accaduto per Giulio Regeni. Tanto meno nel giorno in cui un ministro e centinaia di imprenditori italiani sono a colloquio con il presidente al-Sisi.

Che cosa chiedere ora all’Egitto? Di dirci tutta la verità. Se lo vogliono, gli egiziani accertano come sono andate le cose in poco tempo. Ricordo bene come si mossero in un episodio che mi riguardò all’epoca in cui mi occupavo di bambini sottratti da un genitore all’altro. Un piccolo, tolto dal padre egiziano alla madre italiana che aveva diritto a tenerlo, fu ritrovato in patria in due sole settimane. Il governo al-Sisi ci dovrebbe dare un segnale del genere. Ed è in grado di farlo.

Altrimenti? Altrimenti rimarrà una ferita nello Stato di diritto. L’Egitto non se lo può permettere.

Come giudica il comportamento del governo italiano? Ha fatto ciò che doveva fare. So anche che l’impegno dell’ambasciatore Massari, diplomatico di altissimo livello, sarà assoluto. Ora, però, non si deve mollare la presa. In questi paesi si tende ad assorbire fatti simili con il passare dei giorni. Non deve succedere, stavolta, che il tempo scorra e non accada nulla. Nell’interesse dello stesso Egitto. L’Italia ha rapporti economici strutturati con l’Egitto.

C’è il rischio che si indeboliscano? Serve appunto garantire la sicurezza prima che pensare all’economia. Il caso di Giulio è emblematico di come l’Egitto può coniugare il rispetto del diritto con la fermezza verso il terrorismo. Le autorità di quel paese sostengono che un po’ di repressione è indispensabile per evitare di finire come in Siria, come in Libia. Ci vuole la mano ferma, certo. Ma ciò non può significare licenza di uccidere chi non la pensa come te. I rapporti commerciali vengono dopo questa esigenza.

Un’esigenza politica per l’Italia? Lo è. C’entra con la politica estera. Si tratta di garantire sicurezza a un imprenditore italiano che si metta eventualmente contro il governatore locale o contro i sindacati. Sotto il profilo dei rapporti economici, se si dimostra che non c’è garanzia per i diritti fondamentali c’è il rischio che gli stranieri non investano più. Nessuno vorrebbe fare, infatti, la tragica fine di Giulio.

Intervista a “Il Piccolo”
di Marco Ballico


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