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Elezioni

Frattini a La Stampa: Rehn sbaglia i tempi. C’è una campagna elettorale in corso

Intervista di Franco Frattini a “La Stampa”
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Il contenuto può andare, la forma no. Seduto nella sobria caffetteria della sede del Partito popolare europeo, all’ombra di una vecchia e curiosa foto di De Gasperi che dà le spalle a Schumann, Franco Frattini commenta le parole di Olli Rehn e ricorda che «quando c’è una campagna elettorale, le modalità delle dichiarazioni, e la scelta dei tempi, sono fondamentali». 

E’ una pacata critica al finlandese, quella dell’ex ministro degli Esteri e commissario Ue, ex Pdl e ora vicino a Monti. Sostiene che l’Europa «debba evitare di dare un’impressione di interferenza sul voto, perché questo finisce per essere controproducente rispetto all’obiettivo che si vuole perseguire». 

Quale obiettivo? «So bene che nel Ppe, e in numerosi ambienti bruxellesi, si è fortemente in favore della continuità del governo Monti. Però bisogna trovare modi che non facciano credere agli italiani che si sta scegliendo a Bruxelles il loro premier. Sarebbe un pessimo servizio a Monti che, invece, merita il successo da solo». 

Molti esponenti del Pdl chiedono le dimissioni di Rehn. «Appunto. E’ stata un’esca per le reazioni di coloro che dicono “ecco la solita Europa che ci vuole dettare la linea”». 

Rehn ha parlato di promesse non mantenute. Lei era lì.. «Abbiamo assistito ad una fase di degradazione grave tra giugno e ottobre 2011. In giugno, Berlusconi aveva concordato a Bruxelles la linea del Patto di Bilancio Ue. Aveva accettato un percorso di risanamento e riforma prima ancora che la famosa lettera di Francoforte arrivasse a Roma…» 

Arrivava da Francoforte? O da Via Nazionale come sostiene Tremonti? «Era firmata da Trichet per la Bce e controfirmata da Draghi come successore designato. Sono balle quelle del ministro Tremonti»

L’ho interrotta.. «La lettera introduceva novità importanti. Nel momento in cui si chiedeva l’intervento della Bce per l’acquisto dei titoli italiani, il governo doveva rispondere con la piena attuazione di tutti gli impegni». 

Non andò così, però. «I punti che infiammarono la discussione furono le pensioni e il mercato del lavoro. Ricordo una drammatica riunione il giorno di Ognissanti. Berlusconi era tornato dal vertice Ue e, prima ancora, era stato al G20 di Cannes, dove aveva annunciato l’anticipo del pareggio del bilancio dal 2014 al 2013. Quello non era certo un mancato rispetto degli impegni. Era anzi un passo ulteriore che non ci era stato richiesto, che Berlusconi decise contro la volontà di Tremonti». 

Il governo spaccato… «C’era da un lato l’opposizione che aveva 3-4 voti di distanza e, pregiudizialmente, si batteva per far cadere il governo. Nella maggioranza c’erano voci come quelle della Lega che dicevano “mai contro i poveri pensionati”. Le due riforme, che poi realizzò Monti, non si riuscì a farle. E’ un dato di fatto. Non dipese dalla volontà del premier che, con un atto di responsabilità, decise poi di dimettersi prima ancora della sfiducia». 

Ci fu il complotto? «Non penso proprio. C’è stata una richiesta molto ferma da parte della Bce che, essendo banca, i soldi non li regala ma li investe. Per comprare titoli italiani voleva delle garanzie». 

Rehn dice che Berlusconi ha soffocato la crescita. «E’ una valutazione azzardata. Soffocare la crescita è una cosa che si stabilisce nel medio-lungo termine. Il fatto è che quando un paese è in una situazione così drammatica non si può dipendere dalla telefonata notturna di un deputato che dice “ti voto se mi fai sottosegretario”, occorre una maggioranza più larga. Senza, non si può fare molto». 


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