Egitto

Frattini: ancora una volta Europa timida.

Problema cristiani non va sottovalutato
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Vedo ancora una volta una timidezza europea a dire con forza che il problema dei cristiani non va sottovalutato. Il comunicato finale del Consiglio Ue avrebbe dovuto sottolineare con maggiore chiarezza che l’islamismo vede nei cristiani un obiettivo privilegiato da colpire”. Lo afferma Franco Frattini, ex ministro degli Esteri e attuale presidente della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI).
Ieri si sono riuniti i ministri degli Esteri europei,
 e il loro comunicato conclusivo ha invitato il governo egiziano a porre fine allo stato d’emergenza. Tra le misure adottate anche la sospensione delle forniture per la sicurezza, come giubbotti anti-proiettili e armi, dai Paesi comunitari all’Egitto. Nel comunicato si rivolgono inoltre critiche a entrambe le parti, sia alle forze dell’ordine sia a quanti si sono resi colpevoli di atti di terrorismo.

PIETRO VERNIZZI per “Il Sussidiario”

Presidente Frattini, nel momento in cui i cristiani sono sotto attacco per mano dei Fratelli musulmani si può davvero essere equidistanti come fa l’Ue?
Si tratta di un problema che l’Italia ha già sollevato diverse volte. La realtà è che i cristiani non solo in Egitto sono stati più volte attaccati, colpiti e perseguitati. Andava quindi sottolineato di più il fatto che l’islamismo vede nei cristiani un obiettivo privilegiato da colpire. Oggi in Egitto, ieri in Siria, l’altro ieri in Iraq, ogni volta che mi sono battuto in sede Ue perché queste dichiarazioni fossero forti e vigorose ho dovuto sudare sette camicie. Andava prestato più ascolto a quanto affermano da giorni i vescovi cristiani d’Egitto, dopo che le loro chiese sono state bruciate e i copti attaccati.

Il testo europeo non cita nemmeno i Fratelli musulmani…
Eppure gli attacchi contro le chiese sono solo una delle colpe gravi del movimento di Mohamed Morsi. Nello stesso tempo condivido l’idea che non si debba e non si possa sciogliere per decreto presidenziale i Fratelli musulmani, e quindi incoraggiare l’estremismo ancora più radicale che ne deriverebbe.

Il Consiglio Ue riferendosi all’Egitto parla di una “repressione interna”. Condivide questa espressione?
Ci sono certamente degli aspetti che preoccupano molto. Il fatto che repressioni di polizia si siano verificate è un dato di fatto, ma è altrettanto vero che negli ultimi giorni si sono fatte sentire delle forze islamiste pronte a colpire con metodi tipicamente terroristi, e ciò ha fatto sì che lo Stato egiziano si dovesse difendere con forza. Il vero dovere dell’Ue è rivolgere un appello alla responsabilità ai capi dei Fratelli musulmani affinché evitino in ogni caso di incitare alla violenza. Un conto è criticare il regime dei generali e chiedere nuove elezioni, ma proclamare il Giorno della Collera o della Vendetta dà l’impressione di un incoraggiamento a colpire l’autorità dello Stato.

E’ giusto che l’Europa sospenda le forniture per la sicurezza all’Egitto?
Ritengo opportuno e necessario evitare di proseguire con forniture di mezzi che possono servire oggettivamente per la sicurezza. E’ una misura più di facciata, perché l’Esercito egiziano non ha certo i problema di qualche giubbotto anti-proiettile. Si tratta però di una posizione che l’Ue doveva inevitabilmente prendere.

Le reazioni a quanto sta avvenendo in Egitto dimostrano che l’Occidente rischia di cadere nell’ideologia di una concezione puramente formale della democrazia?
Questo errore è stato fatto molte volte. Ho sostenuto pubblicamente che elezioni libere in Egitto non equivalgono alla democrazia. In Egitto si sono svolte elezioni sufficientemente libere e trasparenti, ma ciò non ha assolutamente portato a un sistema democratico. L’Islam politico in Egitto ha fallito, dimostrando di non sapere coniugare la presa del potere con un’effettiva capacità di democratizzazione e di riforma costituzionale.

Qual è la lezione che si trae da quanto sta avvenendo in Egitto?
E’ una lezione amara per l’Islam politico. Altri Paesi avevano visto nell’elezione di Morsi il segnale che dopo essere rimasto per molti anni fuorilegge, il partito islamico era divenuto sinonimo di stabilità. Questa stabilità purtroppo non c’è stata.

Qual è stato il primo momento in cui si è accorto che i Fratelli musulmani non stavano andando nella giusta direzione?
Ero ancora ministro degli Esteri quando il primo ministro della Turchia, Erdogan, si recò al Cairo e, davanti ai Fratelli musulmani, disse: “Noi siamo per un modello che guardi ad Ankara e non a Tehran”. I Fratelli musulmani, in tutta risposta, lo contestarono violentemente. In quel momento già si capì che il modello del movimento egiziano non era quello di un Islam civile, ma che tendeva inevitabilmente a un Islam teocratico. Questo ha fatto fallire quell’esperienza.

Che cosa ne pensa dell’annuncio su una prossima scarcerazione di Hosni Mubarak?
Si tratta di una scelta che va guardata con rispetto, senza avventurarsi in accuse alla magistratura egiziana. Ci devono d’altra parte far pensare gli arresti improvvisi di tutti i leader della Fratellanza. Non può certo essere colta a cuor leggero l’accusa per alto tradimento nei confronti del presidente Morsi e per reati altrettanto gravi nei confronti di altri leader del movimento. Per non parlare dell’accusa sempre per alto tradimento nei confronti del premio Nobel, Mohamed El-Baradei, ex avversario politico di Morsi.

E quindi?
Non conoscendo il caso, non dirò una parola sul caso Mubarak, ma è il contesto in cui avviene la sua scarcerazione a lasciarmi perplesso. Se da un lato si scarcera Mubarak e dall’altra si imprigiona un ex presidente eletto da più della metà dei cittadini egiziani, ritengo necessario un segnale d’allarme sul modo in cui sta funzionando l’autorità giudiziaria.


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