L’ex ministro degli Esteri: la speculazione stava attaccando l’Italia come un leone ferito, Francia e Germania non c’entrano. La maggioranza era sul punto di sfaldarsi. Il Cavaliere compì una scelta alta e giusta, chi la attribuisce ad altri non gli rende onore.
di PAOLA DI CARO
Visse da protagonista, come ministro degli Esteri, i mesi drammatici che portarono alla caduta del governo Berlusconi e alla nascita dell’esecutivo Monti. Quelli raccontati nel libro di Alan Friedman. Quelli che, assicura, non furono affatto mesi di complotti: «Si è fatto tanto fumo. Vorrei diradarlo» dice Franco Frattini, oggi presidente di sezione del Consiglio di Stato e, come si autodefinisce, osservatore esterno più che attore sulla scena politica.
In Forza Italia si grida al complotto, qualcuno non esclude nemmeno un ritorno in Aula sulla richiesta di impeachment. La delude l’atteggiamento del suo ex partito? «Ai miei amici vorrei ricordare quello che ci disse, quando si dimise, lo stesso presidente Berlusconi: “Lo faccio perché antepongo l’interesse del Paese al mio personale”. Fu una scelta alta, seria e giusta, che alcuni di noi gli suggerirono in privato e – come me – anche in pubblico. Far passare in secondo piano quelle parole credo non sia un favore, ma un torto a Berlusconi».
Torniamo a quel giugno del 2011, quando Napolitano sondò Monti: fu una esondazione dai suoi compiti? «La nota del capo dello Stato mi pare chiarissima: consultare un ex commissario europeo e allora presidente della Bocconi largamente stimato come era Monti, chiedergli valutazioni sulla crisi economica dell’Italia che era già evidente con l’inizio dell’attacco speculativo che raggiunse il suo apice nelle settimane successive, mi sembra un fatto normale e direi doveroso».
Cosa successe nel giugno 2011? «Tremonti presentò la manovra a giugno, perché a fine mese il governo doveva andare al Consiglio europeo con l’annuncio delle misure che sarebbero state prese. Conteneva ipotesi di riforme strutturali rigorose, tagli di spese importanti, e si parlava di pareggio di bilancio concordato nel 2014. Immediatamente si scatenarono una raffica di dichiarazioni dall’interno della maggioranza fatte di minacce di defezioni ulteriori rispetto a quelle già subite con lo strappo di Fini, e fatte da annunci di crisi a giorni alterni da parte della Lega…».
Sta dicendo che il rischio crisi era già evidente a giugno? «Ma certamente. E a luglio, nel suo discorso alle Camere, Tremonti diede il senso della drammaticità della situazione con questa frase: “Come sul Titanic, qui vanno a fondo anche i passeggeri di prima classe“. Lo spread, lo ricordo, era già salito a 300, le preoccupazioni europee crescevano e ci arrivò la lettera della Bce nel mezzo di un durissimo attacco speculativo all’Italia. Berlusconi tornò dal vertice di Cannes con l’impegno ad anticipare il pareggio di bilancio al 2013, e Tremonti si infuriò perché sarebbe servita, disse, una manovra enorme. Lo spread si impennò, la maggioranza era a un passo dallo sfaldarsi – c’era il gruppo di Antonione che aveva lasciato, si parlava del possibile strappo di Scajola – e fu chiaro che non avremmo potuto reggere».
C’è chi sostiene che l’aver dato segnali che Berlusconi poteva essere sostituito abbia lasciato mano libera alla speculazione. «Ma la speculazione va dove vede il leone ferito, e quello era l’Italia allora. E non perché, come alcune fantasiose ricostruzioni vorrebbero, Francia e Germania puntavano contro di noi, ma perché nel mezzo della tempesta che stava trascinando via Grecia, Portogallo, Irlanda, i due maggiori contributori dell’Ue non avrebbero potuto sostenere il possibile crollo di un Paese come l’Italia che per economia è il temo del l’Unione».
E però che si mirasse a Berlusconi in Europa non era un mistero: le risatine tra la Merkel e Sarkozy, l’opinione che in Europa e nel mondo si aveva di un Berlusconi travolto dalle vicende giudiziarie pesavano. «Non c’è dubbio che il problema esistesse. Tremonti, fu scritto e non smentito e fu soprattutto ascoltato, arrivò a replicare a Berlusconi che temeva il complotto di Sarkozy che “il problema non è Sarkozy Silvio, il problema sei tu!”. E non posso negare che in quei mesi, quando incontravo i miei omologhi, la prima domanda che mi sentivo fare era “ma come è possibile che con tutti questi scandali, queste inchieste così gravi, non succeda niente, il governo vada avanti…?”».
Ma Napolitano cosa diceva a Berlusconi in quei mesi? «Io partecipai a un incontro al Quirinale delicato e difficile, e sentii dire quello che, mi è stato assicurato, il capo dello Stato aveva ripetuto più volte: “Presidente, lei si preoccupi della sua maggioranza. Finché c’è, il suo governo sarà in carica”. E infatti il governo cadde quando la maggioranza venne meno in Parlamento, non fuori».
Ma lei che gli era vicino in quei mesi, pensa che Berlusconi abbia sospettato che ci fossero manovre in corso del Quirinale contro di lui? «Per come l’ho conosciuto in tanti anni, credo che se lo avesse pensato non si sarebbe mai dimesso. Avrebbe lottato con le unghie e i denti, avrebbe reagito nella maniera più forte, come ha fatto quando si è sentito perseguitato per le sue vicende giudiziarie. Non si sarebbe piegato. E invece fece un gesto dì grande responsabilità, di sua volontà, comportandosi da statista. Penso sia anche per questa consapevolezza che oggi non unisce la sua voce alle tante che stanno gridando a un complotto che non è mai esistito».