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Immigrazione

Frattini: l’arma segreta di Conte per fermare il traffico dei migranti

E’ scontro tra Italia e Francia su caso Aquarius e la gestione dei flussi migratori
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E’ scontro tra Italia e Francia su caso Aquarius e la gestione dei flussi migratori. Ma una soluzione c’è secondo l’ex ministro FRANCO FRATTINI e il governo potrebbe farla propria 

“Abbiamo dato all’Europa molte responsabilità, non le abbiamo attribuito il compito di coordinare le regole sugli sbarchi”. E’ la proposta che fa al governo Franco Frattini, presidente della Sioi, ex commissario europeo e due volte ministro degli Esteri nei governi Berlusconi. Una iniziativa sulla quale il governo Conte potrebbe trovare il consenso di numerosi Stati europei. 

Il caso dell’Aquarius ripropone il problema dei flussi migratori.
Sono due questioni che vanno tenute distinte. Il governo dei flussi è una questione certamente europea di cui l’Unione avrebbe dovuto farsi carico da molto tempo ma così non è stato. Altra questione è quella della chiusura o indisponibilità all’attracco ai porti, che è tipicamente nazionale.

Sicuro? 
Sì. Non a caso l’Unione Europea non è mai era intervenuta su analoghe misure francesi, spagnole, maltesi e anche italiane negli scorsi 10-15 anni. E non lo ha fatto perché non è materia su cui la Ue possa dettare regole. 

Dunque ogni Stato… 
Ogni Stato può valutare e prendere provvedimenti sulla base delle eventuali condizioni di crisi che si trova a fronteggiare, proprio come ha fatto l’attuale governo italiano. Salvini ha consentito l’attracco della Sea

Watch a Reggio Calabria il 9 giugno, ma con l’Aquarius ha fatto un’altra scelta. Come giudica l’operato del governo?
Salvini, in base alle informazioni in suo possesso, deve aver saputo che eravamo in vista di tre-quattro sbarchi in poco tempo e ha valutato che il veto sull’Aquarius fosse una misura “esemplare” per scoraggiare nuove partenze dalla Libia. E’ una decisione dalla forte valenza politica, ma sotto il profilo europeo non è censurabile. 

Il premier spagnolo Sanchez ha concesso il porto di Valencia. E’ un primo effetto della decisione italiana.
Anche gli altri paesi, che lo vogliano o no, dovranno prendere posizione. Intanto, in Spagna ci sono state molte reazioni negative alla scelta di Sanchez. Non mi sorprende. 

E perché?
Da commissario europeo ebbi a che fare con il governo Zapatero finito sotto accusa perché la polizia aveva sparato proiettili di gomma dura contro i migranti nelle enclavi di Ceuta e Melilla e due di questi erano morti. Il governo socialista di Zapatero, non quello popolare di Rajoy. Credo però che oggi ad essere chiamata in causa sia soprattutto la Francia. 

Ieri Macron ha accusato l’Italia di cinismo e irresponsabilità.
Quando il governo Gentiloni esortò la Francia ad assumersi le sue responsabilità, Macron, che era da poco all’Eliseo, fece un summit a Parigi dicendo che l’Italia non poteva essere lasciata sola. Tempo una settimana e chiuse i porti. E’ la Francia più della Spagna ad essere chiamata a una corresponsabilità, perché i casi “Aquarius” in estate aumenteranno. Ci vorrebbe una proposta risolutiva e il nostro governo se volesse potrebbe farla sua. 

Quale proposta? 
Quella di un coordinamento europeo non solo nella distribuzione dei migranti, ma nell’organizzazione degli sbarchi. Proprio quello che finora è mancato. 

Ha a che fare con la gestione dell’operazione Triton da parte del precedente governo?
No. Triton è una missione europea finalizzata alla sicurezza delle frontiere, e gli sbarchi coordinati da Triton dobbiamo accettarli perché ci siamo impegnati a farlo. A meno che il governo non dia una disdetta formale; finora non lo ha fatto. Il punto è che occorre coordinare in sede europea anche gli sbarchi che non avvengono sotto bandiera europea, cioè da parte di navi private, come sono quelle delle Ong. 

Altrimenti?
Altrimenti si verifica quello che vediamo: la nave privata chiede a un paese la possibilità di attraccare, ma quel paese chiude i porti; allora la nave va in un altro paese e anche questo può chiudere i porti. Se invece tutti gli sbarchi fossero coordinati dalla Ue, lo stato designato sarebbe obbligato ad accogliere. 

L’orientamento del governo è quello di impedire sbarchi da navi di Ong e di consentirli solo da navi della nostra marina.
E’ corretto, però manca la proposta formale. Il mio auspicio è che Conte porti al Consiglio europeo di fine giugno una proposta italiana, che potrebbe essere quella che ho citato. Se venisse accettata, l’Europa avrebbe tutti gli strumenti per valutare se questo o quel paese è maggiormente sotto pressione ed è in grado o non è in grado di accogliere. 

Insomma si tratterebbe di normare una zona grigia.
Sì. Abbiamo dato all’Europa molte responsabilità, la missione Triton è una di queste, ma non abbiamo attribuito all’Europa il compito di coordinare le regole sugli sbarchi. 

Se la sua proposta venisse accettata? 
Il burden sharing (la condivisione degli oneri, ndr) non avverrebbe quando i migranti sono ormai sbarcati, ma quando sono in mare aperto. E’ l’unico modo per risolvere la situazione. 

Chi potrebbero essere gli interlocutori dell’Italia in una iniziativa di questo tipo? 
Tutti gli Stati che non si affacciano sul Mediterraneo. Sarebbero i primi a giovarsi di un coordinamento degli sbarchi negli Stati marittimi. Perché se un’imbarcazione arriva a Valencia se ne occupa la Spagna, se arriva a Catania se ne occupa l’Italia, ma non se ne occupano mai né l’Austria né l’Ungheria né la Polonia. Poiché Salvini è molto interessato ai rapporti con il gruppo di Visegrad, su questa proposta quei paesi potrebbero essere nostri alleati. 

Non crede che in Libia Salvini e Minniti possano commettere lo stesso errore, negoziare accordi di contenimento illegali con i cosiddetti “sindaci”, in realtà capi tribù libiche che non sono sotto la sovranità di nessuno? 
Vede, chi ha attaccato gli accordi fatti da Minniti conosce la Libia molto meno di chi, come me, se n’è occupato per anni. Se non facciamo quegli accordi, ci piacciano o no, ci saranno persone molto peggiori di quei sindaci che gestiranno comunque il traffico degli esseri umani. Molto meglio lavorare con i sindaci, che almeno nella struttura della Libia — che è tutta tribale — una qualche autorità ce l’hanno. 

Sicuro che non siano anche i trafficanti e gli schiavisti a trattare con i sindaci? 
Lo fanno di sicuro; infatti danno ai sindaci la tangente per passare. Noi dobbiamo dare ai sindaci le somme di denaro necessarie per far restare i migranti in Libia. Se ci accordiamo con i capi tribù, possiamo creare altre soluzioni. Una di queste potrebbe prevedere di pagare i capi tribù perché riaccompagnino i disperati ai paesi di origine. E’ quello che tentammo di fare quando ero in Commissione europea e funzionò per due anni e mezzo. Poi la Libia esplose e non se ne fece più nulla. 

Che strada imboccare per una gestione dei flussi? 
Si va dal rafforzamento delle frontiere esterne (Austria, Slovenia) ai campi in Tunisia (Germania, Belgio), a chi insiste su Dublino (Francia, Svezia). L’unica cosa seria, su cui le Nazioni Unite hanno detto di essere d’accordo e quindi si tratterebbe solo di pigiare il bottone e andare avanti, è quella di fare degli hotspot nei paesi di transito: Marocco, Libia, Tunisia, sotto il controllo dell’Unhcr. Da parte sua, l’Europa dovrebbe aiutare anche economicamente i paesi di transito a far sì che questi hotspot non diventino campi di concentramento. Ci costerebbe meno, come Europa, che non fare la redistribuzione. Negli hotspot avverrebbe una scrematura preventiva, prima che le persone si avventurino in mare, e questo porterebbe un ulteriore vantaggio: il coordinamento degli sbarchi di cui ho parlato riguarderebbe solo rifugiati sicuri, non 100 candidati di cui solo 10 rifugiati riconosciuti. E’ l’unica soluzione possibile e avrebbe, ripeto, il sì dell’Onu. 

Perché non sì è fatto? Manca la volontà politica. Penso però che il governo Conte sia favorevole anche a questa ipotesi. 

Si è mai pentito di avere firmato il regolamento di Dublino, nel 2003?

Fu certamente un errore, visto con il senno di poi, però è evidente che nel 2003 nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto. La firma di Dublino fu in un certo senso necessitata, in quel momento avevamo la presidenza di turno dell’Unione e dovevamo negoziare addirittura il trattato costituzionale europeo. L’idea di un esodo epocale non esisteva, c’erano Gheddafi e Mubarak, i flussi erano controllati; il mondo era diverso. (Federico Ferraù)

13 giugno 2018 – Sussidiario.net 
Foto La Presse 


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