Meeting CL

Il Ministro Frattini Alla Xxxii Ed. Del Meeting Di Rimini

La sfida del Mediterraneo: come conciliare responsabilità e diritti
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Intervento: “La sfida del Mediterraneo: come conciliare responsabilità e diritti”

Amici del Meeting,
Signore e signori,

sono veramente lieto di essere ancora una volta presente al Meeting di Rimini. Questo appuntamento, vera eccellenza del Sistema Italia, è un’annuale fonte di vitalità, di quelle energie positive che solo la gioventù è in grado di sprigionare, anche nei momenti difficili come quello che il mondo, e con esso l’Italia, stanno oggi attraversando.

Desidero ringraziare gli organizzatori e rivolgere un caloroso saluto alle altre personalità che hanno accolto l’invito ad accompagnarmi oggi in questa tavola rotonda sul futuro della regione mediterranea.

E’ con grande trepidazione che seguiamo le ultime battute della crisi libica, con l’intento di scongiurare i pericoli di un bagno di sangue e di un vuoto di potere a Tripoli.

Scopriamo con orrore di migliaia di civili uccisi, di fosse comuni, di bambini di paesi poverissimi africani pagati come mercenari, di strategie ben organizzate per spingere migliaia di disperati sui barconi, a morire, come rappresaglia del regime.

E pensiamo ora, con più lucidità, che senza le risoluzioni dell’ONU e le missioni internazionali Bengasi e Misurata sarebbero rase al suolo.

Adesso che l’era Gheddafi è finita, possiamo forse fermarci a riflettere su questa “epidemia di speranza” che ha contagiato i popoli a noi vicini. Gli effetti sono ancora in corso, come dimostra la situazione siriana, ma la fine della più travagliata tra le primavere nordafricane segna senza dubbio l’epilogo di un ciclo. Un epilogo vittorioso.

1) La Primavera araba: svaniscono alcune certezze.
Il suicidio di un giovane tunisino è stato la scintilla che ha innescato un incendio senza precedenti delle masse arabe. Dieci anni dopo l’11 settembre, una curiosa nemesi storica ha portato il tragico gesto di togliersi la vita -che troppo spesso abbiamo visto utilizzato come arma letale dell’estremismo contro innocenti di ogni nazionalità e fede – a scatenare le aspirazioni di migliaia di persone ad una giustizia più equa, ad una migliore qualità della vita. Alla felicità, per riprendere le efficaci parole del Cardinale Touran.

Così, ci siamo trovati spettatori di uno di quei momenti in cui la storia si rimette in moto con accadimenti che sconvolgono il quadro precedente di certezze. Noi europei avremmo dovuto sapere meglio di altri che non esistono popolazioni destinate, per ragioni storiche o religiose, all’esclusione dai benefici del progresso e della democrazia. Ancora negli anni ’70 certi pregiudizi segnavano l’immagine di Spagna, Portogallo e Grecia, che sono invece oggi democrazie consolidate. Successivamente, sarebbero stati i Paesi dell’est europeo a dissipare con i fatti le perplessità diffuse sulle “potenzialità democratiche” dei Paesi ex-comunisti.
Se abbiamo assecondato questo abbaglio nei riguardi dei Paesi nordafricani è stato per miopia e per calcolo: credevamo di aver trovato la scorciatoia per garantirci la stabilità alle porte di casa e la tranquillità necessaria a promuovere i nostri interessi.

Ci siamo sbagliati, perché certe spinte profonde che toccano l’essenza dell’animo umano sono inarrestabili. E perché il nostro interesse, in termini di sicurezza, prosperità e di gestione ordinata dei flussi migratori, non è e non può essere incompatibile con l’affermazione di tali diritti.

Ma la rivolta araba ha inciso in profondità anche sulle convinzioni diffuse negli stessi Paesi interessati. Quelle dei dittatori, che credevano bastasse sventolare la bandiera dell’anticolonialismo ed agitare il fantasma del terrorismo per mantenere regimi anacronistici basati sulla paura. O quella dei movimenti islamici radicali, che ritenevano di poter rappresentare la vera e unica alternativa.

Tutto questo è stato rimesso in discussione da alcune migliaia di giovani motivati e determinati. Chiedevano e chiedono dignità, diritti, lavoro, giustizia. Non sono contro, non hanno bruciato bandiere, né fatto appelli contro di noi.

2) Il tempo dell’incertezza. Egitto, Libia, Tunisia e Siria.
Da un quadro di false certezze siamo precipitati in un panorama dominato dall’incertezza. Ci chiediamo con apprensione: riusciranno ad affermarsi le istanze genuinamente ispirate al rispetto dei diritti e delle libertà? Sapranno i nuovi governanti premere sull’acceleratore delle riforme?

L’intensità dei rapporti bilaterali con l’Egitto, non solo a livello istituzionale ma anche sociale – come dimostra fra l’altro la collaborazione con gli amici egiziani avviata dal Meeting di Rimini -, ci spinge a seguire con grandissima attenzione l’evoluzione della situazione. La presenza sensibile di minoranze religiose, segnatamente quella cristiana, lo rende anche un caso paradigmatico del regime di libertà che potrà instaurarsi nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo.

Il protagonismo dei partiti egiziani di ispirazione islamica dimostra forse come il rapporto tra religione e politica non sia ancora risolto in termini di chiara separazione, anche se vi sono iniziative interessanti, come la recente approvazione da parte delle principali forze politiche della dichiarazione di principi costituzionali proposta da Al Azhar. Noi crediamo che, se l’Islam non è stato il problema, non può però essere la soluzione. Siamo quindi decisi a sostenere i moderati respingendo le istanze oscurantiste e fondamentaliste, in favore di un Egitto aperto e rispettoso delle sue plurime identità.

In Libia, è essenziale puntare sulla riconciliazione, per evitare che sulle divisioni claniche della società si innestino contrasti di interesse nella gestione del Paese che portino ad incrinarne l’unità. Per favorire questo processo sarà fondamentale definire con maggiore concretezza il sostegno alla ricostruzione che saremo in grado di dare. Assistenza tecnica, formazione, trasferimento di know-how, sicurezza e gestione delle infrastrutture sono gli ambiti in cui si è incentrata l’azione che l’Italia ha dispiegato sin d’ora, insieme all’aiuto umanitario. Intendiamo proseguire su questa strada, d’intesa con le autorità del CNT. L’incontro tenutosi ieri a Milano fra il Presidente Berlusconi ed il Capo del Governo del Comitato ha consolidato la collaborazione proficua istaurata già mesi fa con Bengasi.

La determinazione del CNT di scongiurare ogni pericolo di infiltrazione di movimenti estremisti va sostenuta con forza.

In Tunisia osserviamo con preoccupazione la nuova ondata di proteste. La rapida evoluzione della crisi aveva placato le ire della popolazione ma i nuovi sviluppi dimostrano che bisogna accelerare con maggiore convinzione le riforme. E che l’Europa non può assistere agli eventi senza sviluppare in concreto un piano generoso e urgente di sostegno economico che prevenga la frustrazione, talora la disperazione, di milioni di giovani che, dopo le speranze della fine della dittatura, non vedono un futuro!

In Siria, il potere mostra il suo lato più crudele e più tetro. Il baratto “stabilità regionale in cambio di silenzio sulle atrocità” è un vero e proprio ricatto morale a cui Damasco intende sottomettere la comunità internazionale, dimostrando di non aver compreso che i tempi sono cambiati.

L’Italia ha appoggiato le sanzioni europee, richiamato l’Ambasciatore a Damasco per consultazioni, e condiviso la definizione del comunicato con cui l’Alto Rappresentante europeo Lady Ashton ha intimato al Presidente Assad di cessare le violenze e fare un passo indietro.

2) Un decalogo per un futuro condiviso
Si impone dunque un ripensamento su come proiettare efficacemente gli ideali di libertà e democrazia nei nostri rapporti con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Ma che cosa dovrebbe idealmente concludere un decalogo per un futuro del Mediterraneo che concili stabilità e diritti? Mi limito ad alcuni spunti:

  • Focus sull’uomo. E sulla donna.

Le proteste degli scorsi mesi hanno ricordato alla comunità internazionale che non si può trascendere dall’obiettivo vero di ogni seria politica bilaterale o multilaterale, ovvero il benessere dei cittadini, le loro aspirazioni, il diritto di ognuno a partecipare, esprimersi, pregare. In altre parole, di scegliere liberamente, pur nel rispetto degli altri e delle norme di convivenza.

Ecco perché torno sempre a battere sulla centralità della libertà di religione nel quadro delle garanzie da accordare ai cittadini. Ne ho fatto una delle linee definitrici della politica estera del Governo italiano proprio nella convinzione che, in molte zone del mondo, tutelare la libertà di professare una fede sia presupposto di convivenza, volano di distensione con i Paesi vicini e premessa di sviluppo.

Il rispetto dei diritti umani non sarà davvero tale se non verrà esteso anche alle donne. Le immagini televisive che ci sono giunte per giorni da piazza Tahrir, al Cairo, hanno rivelato il protagonismo delle donne egiziane. Il futuro sarà davvero diverso se saprà dare anche a loro maggiori diritti, se saranno riconosciuti i loro meriti ed il loro ruolo non solo nella famiglia ma nella società, nell’economia, nella politica. Nessun Paese può permettersi di trascurare il contributo della componente femminile. E’ chiaro, quindi, che un arretramento su questo fronte segnerebbe una sconfitta delle ragioni stesse della rivoluzione.

  • Crescita condivisa.
    L’unica politica tale da scompaginare stabilità e diritti è quella che crea lavoro, opportunità e futuro. Quante volte l’Italia ha fatto appello alla Comunità Internazionale per la messa a punto di un più deciso programma di assistenza finanziaria per i Paesi arabi! Certo, l’economia internazionale versa in condizioni molto serie, tra crisi del debito, attacchi speculativi e crescita stentata. Ma, pur in un quadro di difficoltà, non va smarrita le priorità di accompagnare i nostri vicini mediterranei verso un futuro più libero e prospero.

L’Italia lo sta facendo, insistendo sui legami e contatti che ci rendono partners affidabili di Egitto e Tunisia, ideando formule per venire incontro alle esigenze delle autorità di Bengasi e della popolazione in Libia .

Ma noi crediamo che sia l’Unione Europea a poter davvero far prevalere gli interessi regionali di lungo periodo sulle priorità nazionali a breve. accordi di libero Occorrono subito accordi di libero scambio con Egitto, Tunisia, Marocco e Giordania; e l’avvio di colloqui esplorativi con Tunisia ed Egitto, e la continuazione di quelli con Rabat, sui temi migratori.

In una mia recente missiva al Commissario per la politica di vicinato, ho insistito in particolare sul sostegno alle piccole e medie imprese, in virtù delle benefiche ricadute sull’occupazione e lo sviluppo locale. Se questo non accadrà, i giovani che hanno contribuito alla fine di regimi autoritari si scopriranno ancora poveri, disoccupati, disperati. La speranza di cambiamento rischierà di svanire tra le sirene della restaurazione islamista.

  • Coesione internazionale
    Credo, infine, che valga la pena indicare tra gli ingredienti della nostra strategia nella regione anche quello della ricerca di un consenso allargato e trasversale rispetto ad obsoleti schemi di alleanze.

Il Gruppo di Contatto sulla Libia riunisce oltre 30 Paesi di tradizioni diverse: occidentali ed arabi, cristiani e musulmani, si sono ritrovati uniti nel dire che Gheddafi se ne deve andare. Alla NATO si sono affiancati Paesi arabi convinti che la causa di Bengasi meritasse anche un aiuto militare.

Ma è forse il caso siriano ad essere il vero banco di prova di una crescente sintonia sul tema dei diritti umani che sembra ormai esistere nei fatti, al di là dei tradizionali distinguo sul confine tra sovranità e diritto di ingerenza.
Nel XXI secolo un regime che massacra la propria popolazione perde legittimità e va condannato. Così hanno fatto non solo l’Italia, la UE, gli USA ma anche la Lega Araba, l’Irak, il Consiglio di Cooperazione del Golfo. Dal punto di vista dei diritti umani, questi eventi non possono essere considerati una questione interna. Emerge, unanime, la convinzione che ci sono limiti oltre i quali nessun regime può spingersi.

Nessun Paese è del tutto impermeabile all’evoluzione
del pensiero e del diritto internazionale. In questo c’è forse un elemento di speranza ed un concreto terreno di convergenza per il futuro.

3) Prudenza e coraggio. Rilanciare a partire da un approfondito dialogo interculturale.
Il moto spontaneo di simpatia suscitato dai fatti di Tunisia ed Egitto sta lasciando il posto ad una crescente perplessità dell’opinione pubblica, che vede oggi allontanarsi l’obiettivo di reale stabilizzazione della regione.
Sono oscillazioni comprensibili ma eccessive degli umori collettivi. I cambiamenti radicali sono patrimonio delle generazioni, non degli individui.

La prudenza è d’obbligo. Ma non tiriamo il freno a mano facendoci prendere la mano dalle paure a breve termine (per esempio quella di un’invasione di immigrati) e rischiando di compromettere le opportunità del futuro. Bisogna saper rilanciare con coraggio. Mutuando il termine usato per definire la nuova fase dei rapporti USA-Russia, potremmo dire che è giunta l’ora di studiare un “reset” dei nostri rapporti con la sponda sud del Mediterraneo.

C’è bisogno di un nuovo umanesimo. Dobbiamo tornare a conoscere l’altro, capirlo senza giudicarlo. Non voglio fare retorica. Sono tempi difficili in cui chiedere uno sforzo di apertura e integrazione rischia di sembrare un esercizio di buonismo lontano dalle preoccupazioni di tutti i giorni.

Ma non è solo un appello morale. E’ un appello al buon senso, ad una ragionata valutazione dei nostri interessi e dei vantaggi che possono derivare da un’apertura sincera.

Come italiani abbiamo le credenziali giuste per promuovere e sostenere il dialogo interculturale e interreligioso nel mondo. Su questo terreno possiamo fare la differenza.

Nel Mediterraneo, poi, non si tratta di favorire l’incontro fra culture quanto piuttosto quello di aiutare una cultura a ritrovare se stessa. Perché quella mediterranea è una civiltà che accomuna tutti i popoli, dove il solco che le disuguaglianze – di mezzi e di diritti – hanno scavato tra la sponda nord e la sponda sud non tiene conto di secoli di scambi, di reciproche influenze e condizionamenti. Non temiamo, nel rispetto delle regole e delle leggi, di aprirci al sud del mondo: l’accoglienza, l’integrazione di esseri umani è un percorso complesso. Richiede generosità, e l’Italia può darla, ma anche determinazione per chiedere, a chi viene da cultura e religioni differenti, di rispettare sempre le nostre regole e la nostra fede come noi rispettiamo la loro. E’ il grande, delicato tema della reciprocità: per quanto tempo ancora potremo, quasi nel silenzio e nell’indifferenza della comunità internazionale, accettare che milioni di cristiani non possano pregare perché in alcuni Paesi le chiese sono proibite e i fedeli puniti, magari con la scusa poliziesca del proselitismo attivo vietato dalle leggi? L’umanesimo che abbiamo in mente o è globale o non è.

I giovani hanno dalla loro il tempo, l’apertura mentale e la padronanza delle tecnologie per colmare l’abisso di diffidenza che ci separa. Anche per questo tengo particolarmente ad un vero e proprio programma Erasmus per il Mediterraneo che contribuisca a definire orizzonti comuni. I giovani arabi che hanno stupito il mondo si sono assunti il compito di cambiare i loro Paesi. Ma hanno indirettamente dato anche a noi, ed in particolare alle giovani generazioni occidentali, una responsabilità molto seria: quella di ascoltare, capire ed aiutare l’ala più autenticamente libera e moderata delle rivolte. Dovremo riuscire a farlo senza pregiudizi e paternalismi. Grazie.


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