Clandestini

L’accordo di Dublino non va: nel 2003 il mondo era diverso

Intervista a “Il Messaggero”
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«Prima i profughi arrivavano in Europa e potevano scegliere in quale paese fare domanda», ricorda Franco Frattini che istituì Frontex da Commissario europeo ed era ministro degli Esteri nel 2003 quando fu firmato in Grecia il Trattato di Dublino. «La scelta avveniva in base al sussidio più elevato o alla maggiore disponibilità di alloggi e andavano tutti nel Nord Europa. Si chiamava “asylum shopping”». Shopping dell’ asilo. «Fu la presidenza greca nel 2003 a proporre un regolamento diverso, il Dublino 1, approvato dal Consiglio in giugno e entrato in vigore in autunno». La regola regina, spiega l’ attuale presidente della SIOI, era che «del profugo si occupasse il primo paese nel quale metteva piede».

Non fu suicidio politico, anche per la Grecia, cambiare sistema?
«Il mondo era diverso. Nel 2003 non s’ immaginava un esodo come quello attuale. Da Commissario europeo, nel 2007 presentai una relazione al Parlamento e al Consiglio Ue dicendo che il sistema aveva problemi di applicazione e efficacia. Ma per modificarlo occorreva la maggioranza qualificata. Il primo atto che punta alla modifica di Dublino e a una vera solidarietà europea è il Piano Juncker».

A Ventimiglia, Italia e Francia si scontrano come nel 2011 
«Allora Berlusconi intervenne su Sarkozy e io sul mio omologo francese. Facemmo capire che avremmo chiesto alla Commissione una procedura d’ infrazione contro Parigi per violazione del Trattato di Schengen: posti fissi non si possono istituire su quella frontiera, solo controlli a campione».

Qual è la soluzione?
«Può esser solo politica: far valere il Dublino 2, la norma che di fronte a esigenze umanitarie consente di derogare dalla regola numero uno. Possiamo chiedere a singoli Paesi di accogliere profughi entrati in Italia, per esempio alla Francia di prendersi quelli che stanno sugli scogli a Ventimiglia. E se rifiuta, potremmo dire al governo francese di non riempirsi più la bocca con la parola solidarietà».

Neanche i permessi temporanei sono una soluzione?
«No. Durano 3 mesi, le procedure per il riconoscimento dell’ asilo otto. Se nel frattempo il richiedente asilo è andato in Francia, Svezia o Germania, certo non torna più in Italia».

E i rimpatri?
«Neanche. I migranti strappano i passaporti. Impossibile un’ identificazione certificata dei paesi a cui rispedirli. Pure il roboante annuncio di azioni militari è una balla. Senza una risoluzione dell’ Onu, se spari un colpo fai un atto di guerra. Si possono invece istituire campi delle Nazioni Unite nelle zone controllate della Libia, in Nigeria, in Ciad, dove i profughi si possano censire e mandare nei paesi che loro stessi scelgono».

di Marco Ventura


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