Visita

Lectio del Ministro Frattini alla Scuola del Partito Comunista Cinese

La Scuola e la comprensione reciproca
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E’ passato meno di un anno dalla mia ultima visita in Cina. Fui proprio qui, in questo edificio, ad ascoltare il discorso del Presidente Napolitano. Sono lieto di tornarvi nell’anno in cui ricorrono due anniversari fondamentali: il 90simo anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese e quello del 150simo dell’unità d’Italia. E sono lieto che la mia visita in Cina si inserisca in un quadro fitto di incontri al piú alto livello e in un tessuto di eccellenti relazioni bilaterali, come testimoniato anche dal successo della recente visita in Italia del Vice Presidente della Repubblica Popolare Cinese e Presidente di questa Scuola, Xi Jinping.

La Scuola e la comprensione reciproca
Si sente, entrando qui, il silenzioso e tenace magistero che la vostra classe dirigente respira. So di trovarmi nel tabernacolo di un’antica sapienza politica, propria del vostro popolo. Apprezzo la vostra intenzione di aprire qui un confronto di idee e prospettive. Questa è la base della comprensione reciproca, che va al di là dell’arena formale della diplomazia e dei vertici internazionali.
Il mondo contemporaneo ha bisogno di un simile approccio. L’attuale generazione di leader -in Cina, in Europa, nel resto del mondo- guarda alla costruzione di un mondo non ancora immaginato ma inimmaginabile senza comprensione reciproca. Per guardare lontano abbiamo bisogno di issarci, ciascuno, sulle spalle della propria storia e cultura. Ci aiuterà a non ripetere errori compiuti. Se sapremo giovarci di un simile lavorio culturale, la comprensione reciproca ci precederà al tavolo delle trattative e un nuovo ordine mondiale potrà essere disegnato nel rispetto delle aspirazioni di ciascuno.

La Cina arriva preparata alle sfide globali
Raramente una potenza nascente ha ingaggiato uno sforzo di autoriflessione come sta facendo il vostro paese. Ripensare la storia, analizzare l’ascesa e la caduta delle grandi potenze del passato, la nascita e la fine degli imperi è un apprendistato severo, cui le forze emergenti riluttano. Negli ultimi 500 anni le molte potenze che hanno reclamato un posto nella gerarchia del pianeta, lo hanno ottenuto scatenando rivoluzioni, conflitti e due guerre mondiali. La Cina moderna calca invece il palcoscenico della storia da protagonista, pacificamente, sfruttando con sapienza le opportunità di emergere. E’ soprattutto merito della quarta generazione del comunismo cinese aver sviluppato un approccio capace di trascendere il modo consueto di emergere delle grandi potenze. Credo che sia questo il senso geopolitico della “società armoniosa in un mondo armonioso” per significare l’aspirazione a generare benessere in patria in un contesto internazionale pacifico.

Se terrà lo stesso passo anche con la nuova, quinta generazione di leader che governerà il paese dal 2012, la Cina avrà saputo affacciarsi al governo del mondo consapevole di sé, forte, ricca, a suo agio nel rapporto con le sue radici. Insieme a questa generazione noi europei dovremo fare lo sforzo di superare l’attuale fase di gestione della crisi mondiale e provare a individuare obiettivi di più ampia portata. Rimodellare le regole del gioco è nell’ordine delle cose: alla fine della transizione che abbiamo imboccato le gerarchie economiche e le configurazioni geopolitiche non saranno più le stesse. Al contrario di altre epoche, questo rimodellamento dovrà però innovare l’assetto del mondo, senza distruggerlo. Né Europa, né Cina possono permettersi il costo di un rovente conflitto ideologico. E’ necessario escogitare un nuovo modo di risolvere il problema della transizione del potere globale. Perché non trasformare allora questa necessità in virtù? Facendo leva sulle nostre due antiche civilizzazioni, potremo catturare l’immaginazione delle future generazioni. E garantire alti standard di civiltà al XXI secolo.

L’Europa e la Cina di fronte ai cambiamenti
L’Europa, dopo aver fronteggiato la più grave recessione economica dagli anni Venti, sta attraversando le turbolenze della crisi del debito sovrano di Grecia, Irlanda e Portogallo, mentre le rivolte arabe hanno delineato nuovi scenari di instabilità nel Mediterraneo.
L’incertezza sul futuro dell’economia e l’instabilità politica della regione a noi più prossima potrebbero spingere l’Europa a chiudersi in se stessa, ad alzare barriere, ricercando effimeri momenti di sollievo in un artificiale microcosmo di benessere. Chiudere le porte alla realtà equivarrebbe a condannarsi all’errore, all’autocommiserazione senza possibilità di correzione.

Le grandi muraglie del passato attraggono turisti da tutto il mondo ma non sono più utili a preservare lo sviluppo. Oggi solo se si è connessi e integrati con la realtá globale, si può stare al passo con essa. Solo se si è aperti al libero confronto con gli altri, si può progredire. Ce lo ricorda anche la nostra storia recente. Il miracolo italiano degli anni 60 è stato determinato dalla possibilità di rivolgersi a un mercato molto più vasto di quello nazionale: quello del continente europeo. D’altra parte, grazie a un approccio aperto e inclusivo, Deng Xiao-Ping, autentico antesignano della globalizzazione, fece entrare un miliardo di persone nel mercato globale, ponendo le solide basi dell’attuale potenza economica cinese.

In questa fase di incertezza, l’evoluzione delle dinamiche euro-cinesi assume allora un valore paradigmatico, vera cartina di tornasole capace di rivelare la direzione delle nostre scelte. Se sarà in grado di strutturare un dialogo di ampio respiro con la Cina, l’Europa avrà scelto la via dell’apertura e del progresso. Se invece ci isoleremo da fenomeni e sfide globali, noi europei allargheremo lo spazio tra il nostro statico, presunto benessere e la dinamica traiettoria di sviluppo pacifico delle nuove potenze economiche, a partire proprio da quella cinese.

Ma l’isolamento non gioverebbe neanche alla Cina. In un’era di globalizzazione, i nostri interessi sono così intimamente interconnessi che abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Per la Cina, rinunciare al contributo europeo significherebbe privarsi non solo dell’offerta delle più moderne tecnologie, ma anche di idee e proposte di un interlocutore privilegiato con il quale poter ricercare su un piano di parità soluzioni alle principali problematiche internazionali. Significherebbe sacrificare l’originalità, il genio, il coraggio morale e l’energia mentale che l’Europa con la sua inventiva e disponibilità al dialogo può fornire a beneficio dei processi di modernizzazione del Paese e dei negoziati nelle sedi multilaterali.
L’Italia sostiene con convinzione l’approccio di aperura alla Cina. Ma dobbiamo riconoscere che lo straordinario dinamismo cinese è percepito in alcuni ambienti come un fattore di vulnerabilità delle conquiste economiche e sociali dell’Europa; come uno degli elementi che mette in discussione i precari equilibri raggiunti. E sono in molti a domandarsi in Europa la ragione per la quale alla crescente rilevanza della Cina non corrisponda una più attiva partecipazione del Paese alla definizione e attuazione di regole comuni.

L’Italia ravvisa nei comportamenti della dirigenza cinese la volontà di assumersi le maggiori responsabilità connesse con l’accresciuto ruolo del Paese. E si rende allora conto che le sue eccellenti relazioni con la Cina possono contribuire a superare le riserve che ancora si registrano in Europa, a condizione di attribuire al dialogo bilaterale un respiro globale e di enuclearne gli elementi essenziali da mettere al servizio dei rapporti euro-cinesi.

Natura strategica del partenariato bilaterale
La natura “strategica” delle relazioni tra Italia e Cina è stata sancita nel 2004. L’anno prima avevamo attribuito identica qualificazione ai rapporti tra Unione Europea e Cina. In entrambi i casi ero Ministro degli Esteri e fui tra i più convinti sostenitori delle due decisioni. Ricordo in particolare che la proposta di partenariato euro-cinese fu lanciata proprio durante il semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea.

Ogni qualificazione così impegnativa rischia però di suonare retorica se non si riempie di contenuti concreti. E’ quindi opportuno fare il punto sugli elementi essenziali del partenariato bilaterale. Prima di esaminarli, vorrei però rievocare un precedente storico quasi dimenticato: le avances che il nostro paese fece alla Repubblica popolare cinese tra gli anni 60 e 70, quando era in gioco il suo riconoscimento internazionale. L’iniziativa italiana prese corpo prima dell’apertura del presidente americano Nixon. I negoziati italo-cinesi si tessevano a Parigi mentre gli americani si apprestavano a fare grosso modo la stessa cosa. Era ministro degli esteri Pietro Nenni. Non ricordo questo episodio per segnalare un diritto di primogenitura, ma per evidenziare che le strade della diplomazia spesso si aprono e chiudono in direzioni oblique. Il senso della direzione dipende talvolta dalla presenza o meno di visione strategica e mutua fiducia: elementi che caratterizzano il nostro attuale partenariato bilaterale e sui quali intendo ora soffermarmi.

1) Visione di lungo termine
Le nostre millenarie civiltà ci spingono a guardare alle relazioni internazionali in prospettiva, ad affrontare le questioni con pazienza e perseveranza. Questa visione ha ispirato ad esempio quei gruppi italiani che decisero di scommettere sulla Cina quando la situazione era diversa da quella attuale e non era affatto scontata la positiva evoluzione intrapresa dall’economia cinese.
Un’analoga visione di lungo periodo ci sorregge anche in questa fase di turbolenze dell’economia europea. L’Europa non sottovaluta la serietà della questione. E sta affrontando il problema del debito con il consolidamento del bilancio, con la riduzione dell’indebitamento nel settore privato, e con riforme strutturali per stimolare la crescita. Interrogandoci sulle prospettive future, siamo rassicurati dalle basi storiche sulle quali esse poggiano.

L’Europa unita nasce da intese di carattere economico, ma con un alto obiettivo politico dei suoi Padri fondatori: porre fine a dolorose divisioni interne e guerre fratricide. Un nobile significato morale che è ancora valido oggi. Ci sentiamo di avere attraversato passo dopo passo -e “tastando le pietre”- il fiume nel quale per secoli erano scivolate intere generazioni, affogandovi i loro ideali, le loro speranze, i loro sogni. La consapevolezza di aver compiuto questa impresa storica, la convinzione che l’Europa unita ha mantenuto la promessa di pace e stabilità -per secoli sfuggente- ci inducono a respingere con determinazione ogni opzione di fallimento di uno Stato europeo ipotizzata dai mercati.
Per questa ragione, siamo assolutamente convinti che la tutela del superiore bene collettivo europeo prevarrà sui continui rilanci della finanza; che il pragmatismo della leadership europea avrà la meglio sulla logica insensata del “più rischio, più vinco, ma se perdo paghi tu”. D’altra parte, se il prezzo da pagare fosse l’inverosimile dissoluzione dell’eurozona, a perdere saremmo in molti. Nessun Paese sarebbe immune al devastante shock. Neanche la Cina, di cui l’Unione Europea è primo partner commerciale. E la Cina sta confermando di possedere un atteggiamento responsabile quando investe in titoli di debito sovrano emessi in euro.

La Cina può svolgere un ruolo chiave per bilanciare la domanda mondiale e assicurare una ripresa sostenibile. Da Cina e altre economie emergenti ci aspettiamo un graduale apprezzamento delle valute e una riduzione del tasso di risparmio. Saranno comunque decisioni libere, autonome, prese da ciascun Paese sulla base di valutazioni su cui non vogliamo interferire.

L’Europa ha bisogno della Cina, del suo ruolo di equilibrio armonico, fondato su un rapporto con il tempo che privilegia la visione strategica e di lungo termine. E’ la stessa visione con cui l’Italia guarda ai suoi rapporti con la Cina. E’ la visione che ci guida nel perseguimento dell’ambizioso obiettivo che ci siamo posti insieme: il raggiungimento della soglia di 80 miliardi di euro di interscambio bilaterale entro il 2015.

2) Fiducia e rispetto

Essenziale per lo sviluppo del nostro partenariato strategico, dell’economia e del commercio è il clima di fiducia e rispetto reciproci tra i nostri due paesi. A differenza di altri popoli, il cui etnocentrismo impedisce di accettare soluzioni estranee alla loro cultura, gli italiani si distinguono per l’attitudine a dialogare su un livello di parità, senza mai ergersi a critici di sistemi altrui.
Abbiamo anche un’esperienza che ci fa sentire vicini alle questioni che affronta la Cina. L’Italia è un microcosmo in cui negli anni si sono riprodotte, su scala diversa e con le dovute distinzioni, alcune contraddizioni e tensioni vissute dalla Cina attuale. Anche noi, nei processi di modernizzazione abbiamo registrato squilibri regionali e sociali. Anche nel nostro Paese coesistono settori di avanguardia tecnologica e sacche di arretratezza, alti consumi e emarginazione sociale, uno straordinario tessuto imprenditoriale e eccessivi vincoli burocratici.

Anche noi, nei processi di modernizzazione del Paese, dobbiamo scongiurare il rischio di un piano inclinato tra quanti in alto hanno accesso al benessere e quanti invece in basso scivolano verso l’esclusione. Un tale scarto alla lunga produce rancori e risentimenti. Ed allora si inizia a declinare credendo di crescere, a scendere illudendosi di salire. La modernizzazione diventa regressiva, alienante.
Non abbiamo però mai perso di vista il nostro fondamentale obiettivo: migliorare la qualità della vita dei cittadini. Con la sua cultura umanistica e la centralità che attribuisce alla persona umana, l’Italia ha una tradizionale propensione a soddisfare le diverse esigenze dei cittadini con creatività, progettualità e spirito di collaborazione. Ne abbiamo fornito una concreta dimostrazione con il nostro padiglione all’EXPO di Shangai, il cui successo é stato riconosciuto dal pubblico e dalla decisione delle autorità cinesi di mantenerlo in vita come centro di promozione dell’eccellenza italiana.

Qualità della vita significa per noi anche il recupero del territorio e la riqualificazione dei paesaggi, la tutela dell’ambiente e la preservazione del patrimonio architettonico delle città. Non si tratta solo di opere di urbanistica ma di atti di impegno civile e culturale, di politica di solidarietà in favore della collettività. L’Italia è anche il suo paesaggio, un panorama costruito nei secoli attraverso i simboli che hanno fatto la storia stessa dell’Europa.

Si tratta per noi di un valore costituzionale perché crediamo che la prosperità non debba essere pagata con le difficoltà del vivere nei grandi centri urbani; crediamo che le esigenze di crescita non debbano inevitabilmente comportare il degrado dell’ambiente; crediamo che il progresso tecnologico non debba essere avvertito solo come libertà dal bisogno, ma anche come progresso armonico dell’uomo e dell’ambiente in cui vive. Ritroviamo questi concetti riflessi nel dodicesimo Piano quinquennale cinese e ci attendiamo di poter sfruttare gli spazi di collaborazione che esso apre per le eccellenze del nostro

Sistema Paese.
Partendo dalla constatazione che ciò che ci accomuna è molto di più di ciò che ci divide, puntiamo a incoraggiare la cooperazione nei settori delle scienze, della ricerca e dell’innovazione, a promuovere senza barriere gli investimenti diretti in un senso e nell’altro, a mettere la vitalità delle nostre imprese a disposizione del dinamismo dell’economia cinese.

Sono scelte che operiamo con fiducia. Ci attendiamo che questa fiducia sia contraccambiata con una maggiore facilità di accesso al mercato e con la tutela della proprietà intellettuale e la lotta alla contraffazione. Intendiamo così superare il paradigma dell’interscambio commerciale, promovendo collaborazioni industriali, favorendo trasferimenti di tecnologia e creando tante “piccole Italie” nel gigantesco mercato cinese. In questo contesto si inserisce anche la rivitalizzazione del Comitato Governativo, di cui chiudo nel pomeriggio la IV sessione plenaria, insieme al Ministro Yang Jiechi.

3) Agenda globale

C’è un terzo elemento che rende il partenariato bilaterale autenticamente strategico: la ricerca di soluzioni condivise alle principali questioni dell’agenda globale. Sono tanti gli elementi che abbiamo in comune, come il fatto che ci riconosciamo nella visione di una maggiore rappresentatività delle organizzazioni internazionali e che condividiamo un approccio costruttivo alla riforma del Consiglio di
Sicurezza.

La Cina per noi è “partner” imprescindibile. Lo abbiamo dimostrato anche durante la nostra Presidenza del G8, quando abbiamo promosso insieme alla Cina molte iniziative. E lo confermiamo nel G20 dove con la Cina ricerchiamo convergenze sulle principali questioni di governance globale. Sicurezza, crescita economica, controllo energetico, politica estera sono strettamente correlate. Questo nesso non riguarda solo le élites politiche. E’ una questione che tocca la vita dei cittadini, esposti alle severe turbolenze dalle quali è attraversato periodicamente il sistema internazionale.
Il vantaggio competitivo di un paese è misurato dalla sua capacità di farsi protagonista, dal suo profilo politico e dalla scala della sua economia. Ma nessun paese può aver peso sulla scena internazionale semplicemente promuovendo il proprio interesse e i propri valori, se non è poi capace di garantire, con coesione multilaterale, la libertà dei propri cittadini di accedere alle diverse aree del pianeta, facilitando l’internazionalizzazione della vita quotidiana.

Relazioni euro-cinesi
Ho evidenziato i tre elementi essenziali che rendono efficace il nostro strategico partenariato bilaterale. Vogliamo mettere questo partenariato al servizio delle relazioni tra Cina e Unione Europea.
Sebbene l’Europa sia il primo partner commerciale della Cina, il rapporto politico è segnato da incomprensioni. Per superarle contiamo sul retroterra culturale. Ad esempio, i vostri studenti si formano anche sulla Ricchezza delle nazioni di Adam Smith. L’ho studiata anch’io e penso che i nostri studenti dovrebbero avere maggiore consuetudine con i pilastri culturali dell’antica propensione cinese al rischio imprenditoriale. Sono affascinato dalla vostra espressione xiaihai jinsanhang che vuol dire affrontare l’oceano; ma grazie alla flessibilità dei segni della vostra lingua, è usata per dire “buttarsi in mare” o “fare affari”. Simili affinità nell’approccio alla dinamica economica valgono più di mille distinzioni burocratiche.

So qual è il punto dolente. Ci sono due temi sui quali Europa e Cina faticano a trovare un accordo. Il primo punto è più facile da affrontare. Entro meno di 5 anni il riconoscimento dello status di economia di mercato sarà un fatto automatico. Mi auguro che la UE comprenda l’importanza di promuovere fin d’ora una partita dall’esito scontato il cui anticipo sui tempi sarebbe una opportunità storica.
Ma al di là di questo iter, resta un paradosso riconoscere ed esaltare l’ampio e rapido sviluppo cinese, il suo ruolo nel mercato globale, il suo inserimento a pieno titolo nel WTO e non riconoscergli lo status di economia di mercato.

L’altra questione riguarda l’embargo sulle armi. So che le difficoltà e le divisioni europee di visione in questo campo sono tante e che deve maturare una condizione internazionale favorevole. Ma so anche che sarebbe un paradosso invocare una Cina stabile e coinvolta nella gestione della sicurezza globale, mantenendo, al contempo, una misura che testimonia sentimenti politici di sfiducia.
Il successo del partenariato bilaterale ci induce ad affrontare queste divergenze alla luce della fiducia e del rispetto reciproci. Fiducia e rispetto che ci spingono a “comprendere prima di giudicare”, come disse un anno fa proprio qui il Presidente Napolitano. E ci incoraggiano a lavorare, a mediare perché in Europa si formi il consenso necessario per rispondere alle attese cinesi.

Sulla base della nostra esperienza, siamo fiduciosi. Tanti italiani hanno dimostrato nei secoli di saper penetrare nel Regno di Mezzo e sono ora celebrati nella memoria di questa antica civiltà. Con la stessa tenacia di tanti nostri illustri predecessori, continueremo a svolgere un ruolo di ponte per ridurre le distanze tra Cina e Europa. E per far sì che la Cina possa rinvenire nell’Europa sintonie e comunanze che finora ha prevalentemente ricercato in altri partner internazionali. Questo è il modo più efficace per mettere a frutto il patrimonio di valori e interessi accumulato nell’ambito del nostro strategico partenariato bilaterale.

Grazie per l’attenzione.


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