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Africa

L’esempio americano del Marshall Plan per il soft power dell’Europa. Parla Franco Frattini

Secondo il presidente della Sioi un Piano Marshall europeo per l’Africa è auspicabile purché non si riduca a “donazioni economiche prive di controlli”
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“Un grande aiuto economico, ma soprattutto un grandissimo progetto politico”. Così il presidente della Sioi Franco Frattini, già ministro degli Esteri e commissario Ue, ha definito il Piano Marshall celebrando il suo settantenario al Centro Studi Americani assieme al direttore Paolo Messa, a Maria Romana De Gasperi e al presidente della Fondazione Sapienza Antonello Folco Bigini.
Troppo spesso riduciamo il mastodontico intervento degli americani per ricostruire l’Europa a una semplice opera d’elemosina ai Paesi sconfitti per sottrarli alla cortina di ferro. Il Piano Marshall, ha ricordato Frattini, è stato molto di più: “Non una donazione di un ricco al povero, ma la chance per un alleato meno fortunato, sconfitto in guerra, di crescere nei diritti, nella prosperità e nella democrazia”.  
Fu indubbiamente una scelta di campo strategica, ma in un mondo diviso in blocchi l’Europa non poteva permettersi la neutralità, se non, come riconobbe lo stesso Alcide De Gasperi, “in un mondo di inermi o garantito da una forte difesa di natura e di armi”. “Credo che il messaggio di De Gasperi sulla centralità della persona umana sia stato uno dei punti nodali del Piano Marshall” ha continuato Frattini, “permettendo agli alleati di rinascere dopo una guerra che era stata negazione della persona umana sono state poste le basi per la Carta di Nizza del 2000”. Il debito europeo verso il Piano Marshall va dunque ben al di là degli aiuti economici e delle forniture giunte nel Vecchio continente per rilanciare l’industria e l’occupazione. Oggi, ha sottolineato l’ex titolare della Farnesina, “il soft power europeo ha nel suo dna il Piano Marshall, dobbiamo anche a questo il grande successo nella politica di vicinato dell’Ue con i Balcani occidentali”. Dove ha fallito l’Unione Sovietica è riuscita l’Unione Europea, portando a Est “rule of law, programmi di giustizia, di sicurezza, di lotta al crimine organizzato, permettendo a quei Paesi di sentirsi parte di un destino comune”. 

Abbiamo imparato la lezione del 1948? Non ancora, ha ammesso Frattini. Se il progetto europeista perde terreno, e di conseguenza il suo soft power, è anche perché persistono i veti incrociati, i particolarismi, che rendono impossibile, se non addirittura utopico, parlare di politica di sicurezza e difesa comune. “Non possiamo lamentarci di essere vittime dell’imperialismo americano e poi non fare nulla per costruire una vera politica estera europea. Se ogni volta che uno dei 27 Stati membri pone il veto tutto si blocca, l’Europa perde la chance di essere protagonista di politiche di successo”. Ben venga anche la Brexit dunque, se una volta conclusa permetterà agli Stati membri di parlare di Difesa comune europea senza soccombere al veto di Londra. 
C’è un banco di prova per capire se l’Unione Europea ha fatto sua la lezione del Piano Marshall. È lo sviluppo economico e politico dell’Africa, passaggio cruciale per la stabilizzazione del Mediterraneo e del fenomeno migratorio. Frattini ha chiara in mente qual è la road map da seguire: “Ci sono due paradigmi, uno, totalmente sbagliato, è quello del neo-colonialismo, l’altro, l’unico che può funzionare, quello del co-sviluppo”. Secondo l’ex ministro degli Esteri in Africa l’Europa non deve commettere lo stesso errore dell’alleato americano in Iraq, quando gli Stati Uniti formarono il governo provvisorio “facendo piazza pulita di migliaia di funzionari, sottoufficiali e ufficiali, che una volta cacciati si unirono alla resistenza contro di noi”. Così come il Piano Marshall americano fu un progetto a lungo termine, che vide Stati Uniti e Europa collaborare fianco a fianco nella gestione condivisa delle risorse e nella costruzione di istituzioni democratiche, così anche un Piano Marshall europeo per il continente africano non deve ridursi ad assistenzialismo, ma deve diventare una grande opera di institution-building e creazione di welfare fra Stati africani ed europei. “Se abbandoniamo il modello delle donazioni incontrollate per un modello di co-sviluppo” ha concluso Frattini, “riusciremo ad aiutare gli Stati africani affetti da grave instabilità politica a creare prosperità, tutelare i diritti e a consolidare i regimi democratici”.

Francesco Bechis 
Formiche.net 


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