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Libia: Sanzioni a chi non sta al tavolo della pace - Diario Italiano

Diplomazia

Libia: Sanzioni a chi non sta al tavolo della pace

E’ l’unica strada per normalizzare la Libia
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Intervista a Il Messaggero di Meringolo Azzurra

Franco Frattini, ex ministro degli Esteri, ora presidente della Sioi (la Società italiana per l’organizzazione internazionale), che idea si è fatto del rapimento?

«È prematuro fare ipotesi sui rapitori dei nostri connazionali. Le milizie sono tante e diverse. Anche un’eventuale rivendicazione andrebbe presa con le pinze perché le due principali fazioni libiche addossano all’avversario la responsabilità del sequestro. Non ci scordiamo che spesso gli ostaggi vengono presi per essere ceduti ad altri gruppi che hanno diversi interessi. Una volta pagati, questi ultimi per impossessarsi degli ostaggi e usarli politicamente».

Italiani target perché paghiamo i riscatti?
«Non vedo questa relazione. In tutti i casi di cui mi sono occupato non abbiamo pagato riscatti. L’Italia non va con borse piene di soldi, al massimo opera con progetti di cooperazione, per esempio a sostegno delle popolazioni tribali».

Ieri il ministro degli Esteri Gentiloni ha detto che quanti si sottrarranno all’accordo portato avanti dal negoziatore Onu Bernardino Leon (che mira alla creazione di un governo di unità nazionale), sarà isolato. L’Italia sta percorrendo la strategia giusta o è giunta l’ora di un cambio di passo?
«Io tradurrei l’isolamento nell’imposizione di sanzioni. Le Nazioni Unite possono emettere sanzioni su quanti boicottano pregiudizialmente questo accordo, nonostante le diverse revisioni del testo e le generose contro-proposte. In Libia si vive di petrolio. Se si impone un embargo, impedendo la vendita di quanto si produce in una regione controllata da chi si oppone all’accordo, si potrebbero fare progressi. Non possiamo mettere le scarpe sul terreno con soldati europei o italiani, ma per dare al negoziato dell’Onu più credibilità dobbiamo tradurre il concetto di isolamento in qualcosa di operativo. È giusto continuare ad insistere per spingere le parti libiche a un accordo, ma parallelamente diciamo che abbiamo la pistola sul tavolo. Le nostre armi non sono le bombe, ma le sanzioni. Sarebbe sbagliato andare avanti senza coinvolgere il parlamento di Tripoli (in mano agli islamisti, ndr), ma bisogna superare le ultime resist enze».

In Libia si sovrappongono tre fronti di crisi: la guerra civile, il business organizzato dell’ immigrazione clandestina e la penetrazione dell’autoproclamatosi “stato islamico”. Quale deve preoccuparci di più?
«L’ultima perché si sta espandendo, controlla alcuni traffici di migranti, per esempio quelli nella zona di Sirte e Derna. La presenza di Daesh (acronimo arabo per riferirsi all’autoproclamatosi stato islamico) non fa altro che esacerbare il frazionamento delle diverse compagini libiche. Per questo bisognerebbe inserire nella bozza di risoluzione Onu che si sta auspicabilmente terminando, un robusto capitolo antiterrorismo. Con Daesh non si può negoziare. Solo la forza può funzionare e serve una santa alleanza contro questi terroristi. È necessario per eliminare il principale elemento destabilizzatore in azione: sulle tribù, sulle milizie e sul traffico di migranti. Viste anche le sue ramificazioni, Daesh è la prima minaccia per l’Italia» .

Se potesse tornare indietro al 2011, quando era in farnesina, romperebbe, come fece, il trattato di amicizia tra Italia e Libia appoggiando la missione Nato?
«Sì. Era impensabile per l’Italia non seguire la decisione presa dal Consiglio di Sicurezza Onu e dalla Nato. Rompere il patto di alleanza che dura da più di 50 anni con queste istituzioni sarebbe stato molto più rischioso che rompere un trattato con Gheddafi che aveva mostrato, dopo la firma di quel trattato, di essere diventato un capo sanguinario che bombardava le città. Non potevamo stare fermi. Se fossimo stati fedeli al fianco di Gheddafi saremmo diventati un paria internazionale, rischiando di rompere l’alleanza transatlantica. L’Italia e l’Europa hanno fatto l’errore di abbandonare la Libia appena la missione è finita».


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