Violenza

Nasce la diplomazia dell’inclusione

PUNTI D’OLTREOCEANO: Così cambia il mito Usa
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Auto, lavoro, energia, imperialismo… L’America di Obama aggiorna i suoi simboli

OGGI LA LIBERTÀ È ANDARE A PIEDI

Per Toad, il diciassettenne di American Graffiti, la sua Chevy Impala del 1958 voleva dire velocità, prosperità, libertà, status e virilità. L’auto negli Usa produce ancora otto milioni di posti di lavoro, ma – proprio come accade nel resto dell’Occidente ricco – è un mito sempre più appannato tra i ragazzi americani. Negli ultimi cinque anni è scesa del 20 per cento la percentuale di coloro che sostengono l’esame di guida sotto i 20 anni. I giovani tra i 16 e 34 anni che hanno un lavoro, secondo il Frontier Group, hanno aumentato l’uso dei trasporti pubblici del 100 per cento in otto anni. Un trend legato al fenomeno di progressivo abbandono dei suburbia e di rioccupazione dei centri città, sempre più vitali e “car-free”: cresce del 10 per cento l’anno la percentuale degli under-40 che vivono in città senz’auto. Una ricerca della Northeastern University di Boston, indagando sul rapporto giovani-automobile, ha stabilito che tra i ragazzi l’idea di libertà non è più associata a quella di auto (soppiantata dai social network). Anzi è diventata simbolo di noia e di appagamento, “come essere sposati”. Dati che stanno mettendo in allarme gli “shopping malls”, dove negli immensi parcheggi è sempre più facile parcheggiare.

TORNA L’ORGOGLIO DEL MADE IN USA

General Electric ha riportato in Kentucky dalla Cina gli impianti di lavatrici, frigoriferi e radiatori; Google farà il nuovo streamer Nexus Q a San Jose; Caterpillar produrrà scavatori in Texas… Come si può chiamare il ritorno dell’orgoglio made in Usa, il reimpatrio (per ora parziale) di centinaia di grandi aziende che nell’ultimo quindicennio avevano traslocato in Cina? De-delocalizzazione? Costi sempre più alti di trasporto, salari cinesi sempre meno bassi (triplicati in 5 anni) e la possibilità di produrre in patria con una manodopera super-ridotta (soprattutto grazie alle nuove tecnologie industriali, come le stampanti in 3d) e sindacati Usa ovviamente più disponibili, sono i fattori-chiave che stanno spingendo alla marcia indietro. Con un grande ritorno della produzione manifatturiera (dopo tanti anni di prodotti “invisibili”) e d’immagine patriottica per le aziende che riprende lo slogan anni Ottanta “Produce and Buy American!”. Il 37 per cento delle società sotto il miliardo di dollari di fatturato sta studiando il dietrofront. Agevolato da una nuova generazione di operai high-tech , super-specializzati e pagati come gli operai che stavano in catena di montaggio dieci anni fa.

SHALE REVOLUTION, A TUTTO GAS 

Si chiama “Marcellus boom”: è lo sfruttamento dei bacini di shale gas (gas fossile, tipo metano, formatosi nelle rocce sedimentarie scistose) presente in quantità tali da garantire l’autosufficienza energetica per il Paese fino al 2040 e concentrato soprattutto nella regione geologica, detta appunto Marcellus, che comprende gli stati di New York, Ohio, Pennsylvania e West Virginia. Una rivoluzione destinata a cambiare la politica energetica (ed estera) americana e dovuta alle nuove tecnologie di perforazione idraulica (hydrofracking) che permettono di accedere al gas sotto le rocce. Il presidente Barack Obama ha annunciato che ci sono riserve per i prossimi 100 anni ed è calcolato che dal 2016 gli Usa cominceranno ad esportare shale gas liquido. Tra i vantaggi c’è anche quello della riduzione di emissione atmosferiche; ma cresce l’allarme delle associazioni ambientaliste e tra gli stessi democratici per l’alto impatto ambientale delle trivellazioni. Infatti il New York Times ha recentemente svolto un’inchiesta nelle valli ex-agricole della Pennsylvania verificando come l’utilizzo di acidi e detergenti, pompati nel sottosuolo per spaccare la crosta rocciosa, sta inquinando le falde acquifere.

NASCE LA DIPLOMAZIA DELL’INCLUSIONE 

Con l’Amministrazione di Barack Obama, gli Stati Uniti stanno modificando il profilo diplomatico e strategico, fino a far dimenticare quell’immagine muscolare di “sceriffo del mondo” dell’era Bush. «Certamente un cambiamento di metodo» dice Franco Frattini, ex ministro degli Esteri e candidato a diventare il prossimo Segretario Generale della Nato: «Con Hillary Clinton prima e con John Kerry oggi, si avverte ad esempio un approccio più ispirato ad un effettivo multilateralismo». Frattini dice a Io donna che oggi gli Stati Uniti «prestano forte attenzione a dinamiche di inclusione e condivisione. Vi è un costante rafforzamento dei rapporti con l’Unione Europea (si pensi all’imminente negoziato sull’accordo euro-atlantico di libero commercio), ma vi è anche una sensibilità accresciuta verso regioni del mondo in cui la Lega Araba e l’Unione africana sono oggi considerati importanti interlocutori ». Un metodo “bottom up”, per rendere possibile le condizioni «di avviare e poi consolidare democrazia, diritti e prosperità». L’America di Obama non è meno forte, ma ha dismesso i modi ruvidi del cowboy.


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