Libia

Nella nuova Tripoli, liberata dal popolo libico

Mi recherò domani in missione nella nuova Tripoli
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Intervista a Il Messaggero

Mi recherò domani in missione nella nuova Tripoli, liberata dal popolo libico. Una missione da cui vorrei trarre spunto per qualche considerazione sulla nostra politica verso la Libia e, più in generale, il Mediterraneo. La vocazione mediterranea è stata e resta una delle tre principali direttrici della politica estera italiana, insieme a quelle europea ed atlantica. E non potrebbe essere diversamente: nel Mediterraneo è radicata la nostra presenza politica, economica, culturale; al Mediterraneo si è legata nei secoli la nostra civiltà. L’attenzione dell’Italia verso questa regione è cresciuta ulteriormente, negli ultimi anni, come conseguenza di due fattori. Il primo riguarda la fine del confronto Est-Ovest e la globalizzazione che hanno spostato a Sud le principali sfide alla nostra sicurezza, dall’immigrazione illegale, al terrorismo, alla pirateria. Il secondo fattore, più recente, è legato alle rivoluzioni arabe che hanno ridisegnato gli assetti nella regione e costretto noi tutti, l’intero Occidente, a rivedere le nostre politiche per porci «dal lato giusto della storia». Abbiamo abbandonato quei «patti di convenienza» con le dittature dell’area che avevano garantito per decenni stabilità e opportunità per le nostre imprese.

La transizione in questi Paesi è ancora in corso e l’esito non è scontato: siamo consapevoli che dovremo impostare il rapporto con quei Paesi su nuove e più articolate basi, dando vita a «patti di coesistenza» non solo con i governi, ma anche con le società che si sono auto-emancipate. Il governo italiano è egualmente consapevole che la fluidità del quadro geopolitico ha aperto nuovi spazi per la competizione politica ed economica e posto il nostro sistema-Paese di fronte a nuove e più impegnative sfide. Come si sta concretamente muovendo l’Italia per difendere i propri interessi, i propri valori, il proprio ruolo nell’area mediterranea? Credo si possa dire che in Libia, dove, in virtù della nostra storia passata e recente, eravamo particolarmente esposti alle incertezze di un cambiamento di regime, siamo riusciti a restare in prima linea diplomaticamente e militarmente nella coalizione internazionale e a posizionarci per un ruolo di principale player nel dopo-Gheddafi.

Siamo stati tra i primi Paesi a riconoscere i nuovi rappresentanti del popolo libico, a installarci diplomaticamente a Bengasi e a inviare un ambasciatore nella nuova Tripoli. Abbiamo creato con la nuova leadership libica un Comitato di coordinamento congiunto che si riunirà presto al più alto livello politico a Tripoli, per riattivare il Trattato di amicizia italo-libico: uno strumento che mantiene assolutamente «unica» la posizione dell’Italia in quel Paese. L’Eni ha intanto riavviato le proprie attività. Chi teme che a causa di qualche presunta, precedente mancata visita l’Italia sia distratta e stia perdendo colpi a vantaggio di nostri concorrenti non tiene conto di tutto ciò, ma soprattutto non coglie la specificità italiana: non potevamo, per la nostra storia «ingombrante» assumere atteggiamenti di protagonismo e mediaticamente abbaglianti. Avevamo l’obbligo e l’interesse a operare con maggior discrezione, nel rispetto del popolo libico. La nostra discrezione non ha limitato l’efficacia della nostra azione, l’ha semmai rafforzata. Intendiamo continuare a puntare soprattutto sul nostro soft power e la nostra amicizia con il popolo libico.

La nostra azione verso gli altri Paesi protagonisti della primavera araba è stata analogamente animata da un obiettivo preciso: quello di aiutare le transizioni, per essere coerenti con i nostri valori e con i nostri interessi, nella convinzione che istituzioni democratiche in quei Paesi, quando consolidate, potranno in maniera più profonda e duratura garantire anche la nostra sicurezza e le opportunità per il nostro Sistema-Paese. È il caso dell’Egitto, dove la presenza e gli interessi dell’Italia sono profondamente radicati (siamo, tra gli europei, il primo partner commerciale). L’Italia è stata in questi mesi concretamente al fianco della transizione egiziana con aiuti volti a favorire la ripresa dell’economia nei settori chiave del turismo e delle piccole e medie imprese. Nei mesi scorsi ho ricevuto a Roma il ministro degli Esteri egiziano e coinvolto nella discussione i rappresentanti delle principali aziende italiane che operano in Egitto, per promuovere la continuazione delle loro attività in quel Paese.

Attendiamo il responso delle prossime elezioni per concordare con il nuovo governo un Vertice bilaterale nel quadro del partenariato strategico bilaterale che intendiamo consolidare ulteriormente. Abbiamo interesse a salvaguardare il rapporto tra Israele ed Egitto e a recuperare quest’ultimo a un ruolo politico centrale nel processo di pace.

Siamo stati in prima linea anche in Tunisia, dove mi sono recato personalmente a più riprese, dimostrando la nostra solidarietà concreta alla transizione democratica attraverso la concessione di un generoso pacchetto di aiuti e ottenendo la collaborazione delle autorità locali nel controllo dei flussi.

Al di là dei singoli Paesi, abbiamo cercato di promuovere attivamente una nostra visione regionale e multilaterale della regione mediterranea, basata su due principi: sviluppo economico e cooperazione regionale. Abbiamo difeso l’idea di un Piano Marshall per i Paesi della primavera araba, per evitare frustrazioni e derive estremiste dei popoli della regione che chiedevano «pane e democrazia». Quest’idea si è concretizzata con il partenariato di Deauville, che, assemblando le risorse dei Paesi del G8, delle istituzioni internazionali e dei Paesi del Golfo, mobiliterà nei prossimi due anni diverse decine di miliardi di dollari. Presiederò personalmente a Napoli il 28 novembre una riunione del 5 + 5 (i cinque Paesi del Sud-Europa e i cinque Paesi del Maghreb) che rappresenta il primo tentativo concreto di rilancio della cooperazione regionale con e tra i Paesi nordafricani dopo le rivoluzioni arabe. Una ulteriore iniziativa che stiamo portando avanti riguarda la definizione di uno schema di confidence-building tra i Paesi della regione sul modello della Csce. Un Mediterraneo «allargato», prospero e stabile, richiede, oltre alla nostra azione, una presenza dell’Europa forte e coesa. A partire dal processo di pace dove l’Italia sta attivamente sostenendo gli sforzi dell’Unione europea per una ripresa del negoziato tra Israele e palestinesi nel difficile contesto creato dalla richiesta di riconoscimento da parte palestinese.

Una presenza forte dell’Europa presuppone il superamento di protagonismi nazionali che rischiano di far scomparire il nostro continente nel mondo multipolare. Spero che l’appello all’unità venga ascoltato nelle altre capitali europee.


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