Animali

Orsi e uomini: chi è il carnefice?

Non servono kit alla Rambo. Il problema è la disinformazione. Si guardi al modello Alaska.
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Di soluzioni ce ne sarebbero tante, ma chissà perché si ricorre sempre alla peggiore. Il recente dibattito sulla cattura o addirittura soppressione degli orsi del Trentino, ritenuti eccessivamente pericolosi per gli abitanti ed i turisti della zona, sta rasentando ancora una volta un’arretratezza di proporzioni epiche che rischia di spostare la polemica su terreni diseducativi e disinformativi.

Quando nel 1996 ci si attivò fortemente per avviare il progetto “Life Ursus”, si era perfettamente al corrente del fatto che l’obiettivo fosse quello di risollevare le sorti dell’ultimo nucleo di Orso bruno delle Alpi italiane, che col tempo – come accaduto – si sarebbe anche riprodotto. Così come si era al corrente del fatto che avremmo avuto a che fare non con un peloso Trudy da accarezzare in salotto, ma con una specie selvatica protetta, di grandi dimensioni, ma assolutamente innocua per le persone. Sempre che non venga provocata, o non gli si minacci la prole.

E’ chiaro che l’ABC della convivenza uomo-plantigradi è valso poco quanto niente. Così che gli orsi del Trentino, prima immessi sul territorio come bomboniere, adesso improvvisamente divengono creature assassine da eliminare con ogni mezzo. Insomma, una specie di merce usa e getta che si fotografa e si incornicia se c’è da farsi belli sulle tribune internazionali, e contro cui si organizza una chiamata alle armi ogniqualvolta bisogna tenere a bada una bufera mediatica.

E’ certamente vero come dice il ministro Gian Luca Galletti che l’incolumità delle persone viene prima di tutto. Ma è altrettanto doveroso per l’uomo rispettare quelle poche regole basilari dell’equilibrio tra uomo e natura. Mi riferisco ad un’esperienza di gestione della fauna che non andrebbe certamente delegata a politiche da far-west partorite sull’onda dell’emotività. 

Certamente occorre la prevenzione, con adeguate iniziative di formazione e informazione per i turisti che potrebbero incontrare, più o meno da vicino, un orso bruno e magari un’orsa con i suoi piccoli. Ed è reso noto che in Trentino quest’anno, fortunatamente aggiungo io, vi sono 9 o 10 cuccioli nati nella primavera. 

In paesi dove vivono decine di migliaia di orsi – ben più aggressivi dell’orso bruno, penso ai grizzly dell’Alaska o dello Yukon canadese – da molto tempo i turisti e gli appassionati di “bear watching” portano con sé (o in alternativa provvede la guida turistica) strumenti di prevenzione non letali che vanno dall’uso di campanelli per fare rumore fino alle cartucce anestetiche. 

A nessuno viene in mente di andare in giro per i boschi a sparare, perché la “regola aurea” per chi visita quei luoghi è che gli orsi sono a casa loro, il turista è l’intruso e dunque è suo il compito di evitare ogni atto provocatorio o pericoloso”. 

In conclusione, la tutela della biodiversità dell’Italia, così come dei suoi cittadini, merita una risposta che vada oltre una carabina. Proprio come si fa in Alaska, dove le svariate precauzioni che regolano la vita degli uomini con all’incirca 40mila orsi bruni (e questi si che son numeri!) non hanno mai incluso l’utilizzo di un kit alla Rambo. 


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