Intervista all’ex ministro degli Esteri e presidente della Sioi. Italia ormai irrilevante nella crisi ad Est, Europa non pervenuta. L’Ucraina non può entrare nella Nato, si riparta dagli accordi di Minsk. Dalla Libia alla Wagner in Mali, così Draghi può far cambiare idea a Putin
Presa dalle manovre all’ombra del Quirinale, la politica italiana dimentica la guerra che incombe nell’Est Europa, al confine ucraino, dove il presidente russo Vladimir Putin ha stanziato 170.000 uomini in tenuta da combattimento. Anche l’Ue ha le sue colpe, dice l’ex ministro degli Esteri e presidente della Sioi Franco Frattini, il giorno in cui i capi di Stato e di governo europei si riuniscono a Bruxelles per trovare una via d’uscita allo stallo militare.
Frattini, Europa non pervenuta?
Europa assente, di nuovo. Sono lontani i tempi dell’attivismo di Francia e Germania nel Formato Normandia. Oggi la prima pensa alle elezioni in primavera, la seconda vede nascere un governo di cui non è chiara la posizione sulla crisi in Ucraina e che manca della leadership di Angela Merkel.
Joe Biden può sbrigliare la matassa russa?
Biden è consapevole della posta in gioco. Sa che questa crisi non si può risolvere solo contro la Russia né tantomeno con un’azione militare. Per questo ha mandato a Kiev e Mosca Karen Donfried, tra le più fini conoscitrici dell’Est Europa.
La telefonata con Putin ha sbloccato lo stallo?
Ha aperto una strada importante. Biden dice il vero quando afferma che bisogna separare Mosca dall’abbraccio con Pechino, sarebbe un grave pericolo per l’Occidente e la telefonata tra Putin e Xi di mercoledì lo conferma. Meglio parlare con chi, con tutti i limiti, ha comunque un pezzo di dna occidentale. Ora l’unica strada per la de-escalation passa dagli accordi di Minsk.
L’Italia ha voce in capitolo?
L’Italia doveva e poteva fare di più all’inizio della crisi ucraina, ai tempi dell’occupazione della Crimea. Allora era ancora nelle condizioni di partecipare al Formato Normandia o di esercitare una forte azione su Putin che forse avrebbe ascoltato. Ha scelto invece di acquetarsi su una acritica politica delle sanzioni di Obama. In diplomazia quando vuoi convincere chi la pensa all’opposto non lo cacci dal tavolo, aggiungi una sedia.
Troppo tardi?
Difficile recuperare il tempo perso. Oggi abbiamo problemi di interesse nazionale prioritari, non solo in casa. Penso alle foto delle milizie libiche che circondano il palazzo del governo a Tripoli, con le elezioni formalmente fissate tra una settimana. Quella sì è una priorità.
Le telefonate tra Draghi e Putin sortiranno qualche effetto?
A mio avviso il metodo Draghi sperimentato durante il G20 funziona. Il presidente chiama spesso Putin, parla con la Russia per risolvere insieme i problemi, nel limite del possibile. Penso all’Afghanistan, al rischio di masse indiscriminate di profughi che si riversano in Europa. Alla stabilizzazione dell’Asia centrale, dall’Uzbekistan al Tagikistan, dove la deriva talebana può indirettamente creare problemi anche a noi.
La Russia accusa l’Ucraina di voler aderire alla Nato. È un’ipotesi remota?
È un’ipotesi non realistica: un Paese come l’Ucraina, che oggi al suo interno conta tre province indipendentiste, non può aderire all’Alleanza. La Nato dovrebbe essere la prima a dirlo. Purtroppo ha perso il ruolo di attore politico di primo piano che aveva in passato.
Frattini, un appunto: è la Russia che ha schierato al confine 170mila uomini.
I gesti russi hanno sempre finalità diverse da quelle che appaiono. Negli ultimi anni Putin ha dimostrato tre cose. Uno: senza Russia e Cina l’Occidente non può occuparsi di Afghanistan. Due: la Russia riesce ad aggirare le sanzioni occidentali guardando ad Est, come dimostra l’accordo trentennale sulle forniture di energia con la Cina. Tre: piaccia o meno, il Cremlino ha ancora una leva politica sugli ex territori dell’Urss.
Poi c’è la Libia, dove l’Italia non riesce più a dare le carte e una nuova escalation militare è alle porte.
È vero, in Libia l’Italia è fuori dai giochi. Perché in Libia sono Russia e Turchia a dare le carte, non l’Italia. Bene fa dunque Di Maio a parlare con Mosca ed Ankara. Non ci piacerà il metodo autocratico dei due presidenti, ma non possiamo pensare di risolvere la crisi con un inviato dell’Onu.
La Russia è un problema anche in Sahel. L’operazione a guida francese Barkhane abbandona dopo nove anni il Mali, che ora rischia di stringere un accordo con i mercenari russi del gruppo Wagner. L’Italia dovrebbe dire una parola?
L’Italia deve battere subito un colpo. Spiegando alla Russia che non può scatenare la brigata Wagner a danno dei nostri interessi nazionali. Il Sahel rischia di diventare terra di scorribande di cinesi e milizie russe.
Di Francesco Bechis | 16/12/2021