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Un consiglio non richiesto al mio amico Moavero. Parla Franco Frattini

Per Frattini il nuovo ministro degli Esteri è l’uomo giusto per il “governo del cambiamento”.
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Per Frattini il nuovo ministro degli Esteri è l’uomo giusto per il “governo del cambiamento”. Libia e Afghanistan sono i dossier più caldi alla Farnesina 

Mittente: Franco Frattini. Destinatario: Enzo Moavero. Un ex ministro degli Esteri dà un consiglio non richiesto al suo amico che oggi è il nuovo titolare della Farnesina e sarà chiamato a rappresentare l’Italia nel mondo per il governo gialloverde. Già ministro per gli Affari Europei con i governi Monti e Letta, Moavero è un diplomatico rodato, con una lunga carriera internazionale alle spalle. E però, assicura Frattini in questa intervista a Formiche.net, è anche l’uomo perfetto per “il governo del cambiamento”. Il presidente della Sioi, già commissario europeo, invita Moavero a non chiudere il sipario sulla nostra missione in Afghanistan, perché sarebbe “un errore clamoroso”. Sul tavolo della Farnesina il dossier più scottante rimane la Libia. Dopo il fallito tentativo di Emmanuel Macron di riappacificare Haftar e al-Sarraj all’ombra dell’Eliseo, è tempo per l’Italia di tornare in campo e recuperare il ruolo che le spetta nel Mediterraneo. 

È nato il governo di Giuseppe Conte. Lo sa che lo chiamano “il Frattini dei sovranisti”?
So solo che il professore ha capacità ed esperienza (ride, ndr). Conosce le istituzioni, ha fatto parte del Consiglio di presidenza nella giustizia amministrativa per più di quattro anni. Non ha ancora avuto un incarico politico all’estero ma è un ottimo avvocato internazionale, parla correntemente francese e inglese. Insomma, ha le caratteristiche giuste per saltare su un’auto in corsa: fra qualche giorno dovrà essere in Canada per il G7, e poi a fine giugno lo aspetterà il Consiglio Europeo. 

L’Italia ha perso credibilità in questi mesi di stallo istituzionale?
Ultimamente sono stato intervistato da alcune televisioni britanniche. Nei momenti più complicati di queste ultime settimane, e soprattutto dopo la rinuncia di Conte, ho sempre detto ai cronisti: “L’Italia è come un deltaplano, quando è sull’orlo del precipizio decolla”. E infatti anche questa volta ce l’abbiamo fatta. 

Cosa pensa, da ex commissario europeo, delle dure considerazioni sull’Italia da parte di alcune istituzioni europee?
Sono degli sconsiderati. Conosco bene il commissario Oettinger. Un personaggio di medio livello, che governava il Baden-Wurttemberg. La Merkel volle spostarlo quando la Cdu perse la maggioranza nel lander. Fu poi nominato commissario su proposta della cancelliera. È inaccettabile che un signore che si è ritrovato a coprire una carica così importante per circostanze fortuite si permetta di parlare così dell’Italia. Vale lo stesso discorso per gli attacchi osceni di Der Siegel. 

A cosa è dovuto questo risentimento dei tedeschi? 
A un calcolo sbagliato. Continuano a ragionare con la logica dei favori reciproci fra Roma e Berlino. Ma dimenticano che se l’Italia smettesse di comprare prodotti tedeschi la Germania perderebbe il suo primo partner commerciale, e lo stesso vale a parti inverse. Credo sia del tutto inutile e controproducente continuare a inveire contro l’Italia con degli stereotipi. Juncker è stato protagonista di un’uscita fuori luogo sulla corruzione degli italiani e fra poco dovrà abbracciare Giuseppe Conte, perché è il premier dell’Italia e non può fare altrimenti. 

Parliamo un po’ del suo collega, il nuovo ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Un ex montiano nel governo del cambiamento.. 
Non è un montiano, è un uomo delle istituzioni. Ha dedicato la sua vita ai rapporti fra Italia ed Europa, è un tecnico di alto livello. Ci siamo conosciuti tanti anni fa e le nostre strade si sono sempre incrociate. Lo conobbi nel lontano 1993, quando ero vicesegretario generale del governo Ciampi e lui arrivò a palazzo Chigi come consigliere economico. Nel 1994 suggerii al presidente Berlusconi di promuovere Moavero come nuovo capo di gabinetto del Commissario Monti. Da lì in poi la sua carriera parla da sé. Ci siamo ritrovati nel 2004, io vicepresidente, lui vicesegretario generale della Commissione Ue. In seguito è stato un eccellente giudice della Corte di Strasburgo, coronando un ottimo lavoro in Europa. 

Non è un limite affidare la Farnesina a un tecnico in un governo così politico?
Sono sicuro che non sarà un limite. Dopotutto anche io quando arrivai la prima volta alla Farnesina ero considerato un tecnico. Mi ritrovai a lavorare con Silvio Berlusconi, un presidente del Consiglio che voleva gestire in autonomia la politica estera. Lo stesso tandem potrebbe ripetersi fra Moavero e Conte. D’altronde il ministro degli Esteri non deve fare la sua politica estera, ma quella del governo. 

Che consiglio si sente di dare a Moavero?
Mi auguro che Moavero, assieme alla ministra Elisabetta Trenta che è esperta della materia, spieghi al Consiglio dei Ministri la grave perdita di credibilità che conseguirebbe al ritiro della nostra missione in Afghanistan. Nel contratto di governo fra Lega e Cinque Stelle si preannuncia una riduzione drastica del numero dei nostri addestratori e di peace-keepers. Gli Stati Uniti e il Regno Unito stanno raddoppiando i loro contingenti perché Daesh sta prendendo il posto dei talebani. Sarebbe un errore clamoroso se dopo 18 anni di operazioni noi italiani, che abbiamo guadagnato onore grazie alle nostre missioni di pace e di addestramento da parte dei Carabinieri, lasciassimo l’Afghanistan. Non possiamo lamentarci se i terroristi ci colpiscono a casa nostra quando li lasciamo prosperare a casa loro. È lì che dobbiamo colpirli. 

Qual è a suo avviso il dossier più caldo che Moavero troverà sulla sua scrivania? 
La priorità numero 1 è la Libia. Dobbiamo riprenderci nel Mediterraneo il ruolo che Emmanuel Macron sta cercando di strapparci via. È una fortuna che il vertice all’Eliseo fra al-Sarraj e Haftar per un governo di unità nazionale non sia andato a buon fine. L’Italia ha delle carte in più rispetto alla Francia. Haftar parla solo con due persone: il presidente egiziano Al Sisi e Vladimir Putin. Dobbiamo dunque andare a Tripoli e usare tutte le nostre amicizie, compresa la Russia, che può indurre il generale a più miti consigli. 

Perché insiste sull’importanza di tenere vivo il dialogo con Mosca?
La Russia è un partner fondamentale dell’Occidente per la lotta al terrorismo. Mosca detiene le chiavi della guerra in Yemen, della crisi libica e di quella siriana. L’Italia, che fino ad oggi è stata tagliata fuori dalla Siria, potrebbe giocare un ruolo cruciale per convincere l’Europa ad esercitare il suo soft power per la fase di ricostruzione e di peace-building. Abbiamo ancora oltre 1.000 uomini nel Sud del Libano, un punto di riferimento imprescindibile nella regione. L’Italia può e deve essere un ponte per l’Europa nella fase di ricostruzione umanitaria in Siria. Altrimenti la partita rimane nelle mani di Putin ed Erdogan, e poi di Trump e dei sauditi. 

Cinque Stelle e Lega sembrano pensarla in maniera diversa. I primi hanno dato prova del loro atlantismo, i secondi continuano a manifestare simpatie putiniane..
Non c’è contraddizione, anche i Cinque Stelle hanno sempre sostenuto l’importanza di tenere aperto un dialogo con la Russia. Faccio un esempio personale che può aiutare a chiarire il nostro ruolo per costruire un ponte fra questi due mondi. Da gennaio sono rappresentante speciale dell’Osce su nomina italiana. Quattro giorni fa sono venuti a Roma per firmare un accordo storico fra la Transnistria e la Moldova l’alto rappresentante del presidente ucraino e quello del presidente russo, assieme al vicesegretario di Stato americano. Vedere Russia, Ucraina e America firmare lo stesso documento sarebbe stato impensabile qualche mese fa. È l’ennesima prova che l’Italia può dialogare con gli Stati Uniti e con la Russia al tempo stesso. Vedrete, Enzo Moavero sarà l’uomo del dialogo.


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