Afghanistan, Frattini:

“La Cina è l’unico Paese che può guadagnare da questa crisi”

L’Afghanistan è uno “scacchiere difficilissimo” e l’unico Paese che ha “chiaramente tutto da guadagnare” dalla crisi attuale è la Cina, seconda potenza mondiale che da anni finanzia il Pakistan, in funzione anti-indiana. È quanto dichiara ad “Agenzia Nova”il presidente della Società italiana per l’organizzazione internazionale (Sioi)
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È quanto dichiara ad “Agenzia Nova”il presidente della Società italiana per l’organizzazione internazionale (Sioi)

L’Afghanistan è uno “scacchiere difficilissimo” e l’unico Paese che ha “chiaramente tutto da guadagnare” dalla crisi attuale è la Cina, seconda potenza mondiale che da anni finanzia il Pakistan, in funzione anti-indiana. È quanto dichiara ad “Agenzia Nova”, Franco Frattini, presidente della Società italiana per l’organizzazione internazionale (Sioi), già ministro degli Affari esteri e vicepresidente della Commissione europea. “La Cina fa il suo interesse”, osserva Frattini, ricordando la presenza di Pechino in Africa. “La Cina ha capito che l’Afghanistan è luogo di destabilizzazione e se tenuta sotto controllo la destabilizzazione va altrove”, osserva Frattini, ricordando che Pechino ha già affermato il suo interesse per le risorse minerarie dell’Afghanistan e potrebbe agire con il medesimo approccio impiegato in Africa. Nell’intervista, Frattini analizza le cause della caduta dell’Afghanistan in mano ai talebani a seguito del ritiro delle forze militari degli Stati Uniti e della Nato e le possibili implicazioni geopolitiche, in particolare il ruolo della già citata Cina, ma anche di Russia e Turchia. Partendo dalla responsabilità dello sfaldamento delle istituzioni afgane e delle Forze armate, che si sono in molti casi arrese ai talebani senza combattere, Frattini sottolinea che la leadership di Kabul aveva già avvertito alcuni mesi fa gli alleati del rischio di un ritiro dal Paese. “Non più di due mesi fa avevo avuto la fortuna di un collegamento video con il presidente Ashraf Ghani insieme ad altri esperti internazionali. In quell’occasione, Ghani, chiaramente con tono rassicuramene si poneva il problema nel non lasciare solo l’Afghanistan”. Infatti, secondo il presidente della Sioi, la leadership afgana era preoccupata della tenuta delle proprie Forze armate una volta completato il ritiro: “È evidente che nel momento in cui le coalizioni occidentali hanno formato 300 mila uomini, ma poi di colpo tutto scompare, annunciandolo con ampio anticipo, significa consentire alle forze talebane di organizzarsi per bene il ‘d-Day’ ed essere pronte”.

L’ex titolare della Farnesina fa notare il “gravissimo errore” da parte dell’amministrazione degli Stati Uniti di Donald Trump di annunciare trionfalmente nel febbraio del 2020 l’accordo con i talebani, seguito poi dal calendario del ritiro, che ha di fatto risuonato tra i talebani come “una chiamata alle armi di tutti coloro che erano pronti” e che per vent’anni grazie alle forze internazionali erano stati “in parte aiutati, in parte combattuti e in parte anche reintegrati”. Frattini fa l’esempio del lavoro del contingente italiano ad Herat che ha sostenuto la popolazione a sostituire la coltivazione del papavero da oppio con quella dello zafferano, insegnando loro la lavorazione del marmo, “preparando un terreno per costruire le istituzioni”. In questo contesto, per Frattini aver dato 14 mesi prima l’annuncio del ritiro delle forze straniere dall’Afghanistan significa aver offerto ai talebani oltre un anno per prepararsi alla conquista del Paese. Allo sbaglio commesso da Trump, afferma il presidente della Sioi, si è aggiunto “l’errore sorprendente del presidente Biden che ha tutt’altra esperienza, capacità e visione” rispetto al predecessore. Frattini ricorda inoltre le errate analisi fatte dall’intelligence statunitense che ipotizzavano la conquista di Kabul dopo almeno un mese dall’inizio dell’offensiva, “mentre è caduta dopo tre giorni”. “Come è pensabile che un presidente statunitense abbia una così imprecisa rappresentazione della realtà? Francamente queste sono tutte domande che non hanno una risposta”, spiega Frattini.

“Il fallimento deriva quindi da una serie di errori gravi di quest’ultimo anno e mezzo, da una mancanza di visione e soprattutto dal non aver saputo nel momento in cui si preparava all’uscita, che era inevitabile, sostituire le forze combattenti della Nato con aiuti e progetti di ricostruzione ovvero con quello che noi europei chiamiamo ‘soft power’””, afferma il presidente della Sioi. “Gli unici che hanno tratto vantaggio da tutto questo sono cinesi e pachistani che sono strettissimi alleati in funzione anti-indiana e chiaramente hanno creato un problema enorme alla Russia, che noi dobbiamo considerare al nostro fianco in questa azione per lavorare sull’Afghanistan ed evitare il disastro”, fa notare l’ex ministro degli Esteri, ricordando il grande interesse di Mosca alla stabilità della regione dell’Asia centrale. Sottolineando come difficilmente i talebani ascolteranno i moniti di Nazioni Unite ed Europa, Frattini coglie anche un altro problema: il ruolo della Turchia. Il presidente della Sioi sottolinea le dichiarazioni fatte prima dai talebani, che hanno sottolineato che “i turchi non sono nostri amici ma non sono neanche nostri nemici”, a cui sono seguite le parole del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu che ha parlato di “positivi messaggi ricevuti finora dai talebani”. “Questo significa che la Turchia ha lasciato aperta la propria ambasciata e l’ufficio visti”, afferma Frattini, che si è detto sorpreso dalle dichiarazioni che potrebbero essere segnale di una rete che in precedenza non esisteva tra Ankara e i talebani.

Nella complessa e caotica situazione in cui versa l’Afghanistan, Frattini indica inoltre come vi siano anche possibilità di resistenza da parte di quegli afgani nemici dei talebani e storicamente contrari ad un controllo esterno, prima da parte dei sovietici e in seguito degli Occidentali. In merito, il presidente della Sioi cita le dichiarazioni Ahmad Massoud, figlio del defunto Ahmad Shah Massoud (il Leone del Panjshir), che non ha escluso di costituire una forza di liberazione nazionale e che potrebbe avere il sostegno della comunità internazionale. Il presidente della Sioi osserva alla luce di questo quadro caotico, “l’unica cosa che può fare l’Europa insieme agli Stati Uniti è avviare un’opera di ricostruzione istituzionale”. Ciò, precisa Frattini, “può essere fatto insieme ai Paesi che sono preoccupati come noi che l’Afghanistan diventi terra cinese: Russia, India e Giappone”. Al momento l’ex ministro degli Esteri avverte una mancanza di leadership e di visione da parte dei Paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti. “Vedo poca leadership, vedo parole timide da parte dell’amministrazione statunitense. In questi anni abbiamo criticato l’esportazione della democrazia ma vi è qualcosa che sta in mezzo tra esportare la democrazia e aiutare la costruzione di modelli di stabilità. Non le forme democratiche europee o statunitensi, ma un luogo dove le donne non vengono decapitate, dove le bambine vanno a scuola, dove i diritti umani vengono rispettati. Questo è possibile? Io credo che questo sia lo sforzo su cui dobbiamo puntare”, afferma il presidente della Sioi.


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