Governo

Il mea culpa della politica: basta gossip è ora di idee

La gente era stanca di chiacchiere, di polemiche, di decisioni rinviate…
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Franco Frattini passeggia davanti alla “sua” Farnesina e ragiona a voce alta sulla rivoluzione che ha travolto i palazzi della politica. «La gente era stanca di chiacchiere, di polemiche, di decisioni rinviate…». L’ ex ministro degli Esteri declina parole finalmente attuali: merito, competenza, risultato. Ma, parallelamente, prova a correggere le letture su un Parlamento senza più futuro. «Io faccio politica più di prima: viaggio, penso, scrivo… Mi creda, per la buona politica ci sono ancora spazi enormi. Vuole un esempio? Ogni parlamentare presenti una proposta di legge: beh, avremmo mille idee per dare luce a un’ Italia ancora in affanno».

Forse ha ragione Frattini: l’ Italia è ancora in affanno. Ma – studi e ricerche alla mano – l’ impressione di molti è che la politica abbia colpe e responsabilità precise. Una corsa lungo il Tevere, poi, in una manciata di minuti, siamo a Palazzo Montecitorio.

Rocco Buttiglione parla agitando le mani e, a tratti, sembra il professore-filosofo che vent’ anni fa decise di prendere un’ altra strada. «Aristotele definiva la politica ars architettonica, l’ arte che mette insieme tutte le arti, tutte le competenze, tutte le prospettive… Noi avevamo combinato un bel guaio mettendoci al di sopra di tutto e di tutti». Cita e spiega il presidente dell’Udc. Con il chiaro obiettivo di dare forza a un’analisi schietta e impietosa: «Abbiamo sbagliato e ora siamo stati messi in castigo. Ma chiariamoci: meritatamente in castigo».

Dietro quel messaggio denso di autocritica prende forma la Rivoluzione. Tutto è cambiato in queste ultime dieci settimane: il modo di fare politica, il modo di raccontarla, anche le aspettative e le curiosità della società. Nelle palestre non si parla più dello scandalo Ruby, ci si confronta sulle liberalizzazioni e sulle pensioni. E, inevitabile, scatta l’ atto d’ accusa: perché in tutti questi anni i partiti non sono riusciti a garantire una vera riforma? Ci si interroga ancora: politica delegittimata? Senza più futuro? Parlamentari destinati a lasciare per sempre Montecitorio e Palazzo Madama?

Giorgio Tonini, deputato del Pd con il pallino del giornalismo, non ci sta: «Macché… Il Parlamento respira, pensa, propone, discute di cose serie, trova sintesi tra posizioni diverse. C’è gente che ha molti saperi da spendere, ma ahimè negli ultimi tre anni non siamo stati noi a dettare l’ agenda… È stata la “terza Camera”, Porta a porta». Tonini prende fiato e sembra chiosare con un messaggio quasi minaccioso: «Ora, però, la musica è cambiata…».

Bruno Vespa merita il diritto di replica. «Che io sappia la “terza Camera” esiste ancora. Da noi sono venuti Mario Monti, Corrado Passera, Elsa For-nero…», chiarisce divertito il re della seconda serata Rai. Lo provochiamo: allora per lei non è cambiato nulla? «La verità va detta: la politica non tira, è la cronaca a comandare». Il naufragio della Concordia e le follie del comandante Schettino? Vespa annuisce, ma detta una precisazione: «Funziona la cronaca, ma continua a funzionare la politica dei fatti, delle misure, dei provvedimenti. Quando si parla di tasse, di casa, di pensioni lo share schizza». Vespa ha capito con il tempismo del giornalista di qualità quello che stava succedendo. Anzi quello che è già successo: un terremoto che è cominciato scuotendo proprio il suo salotto televisivo quando un giorno, all’ improvviso, gli italiani conobbero la flexicurity danese. Fu solo l’ inizio. Presto toccò tax gap, la strategia antievasione degli Usa. Presto si scoprì che un “trattatello” europeo dal nome misterioso, fiscal compact, senza qualche opportuna e salvifica modifica poteva spezzarci la schiena per sempre. Niente più retroscena. Ora c’è solo spazio solo per la scena. Per i fatti. E i protagonisti della politica di domani, quelli che resteranno a Montecitorio e quelli che lì approderanno, dovranno tenerne conto e magari ripensarsi.

Buttiglione annuisce, sospira, ammette: «Eravamo sull’ orlo baratro, ma non siamo precipitati. Ora siamo in castigo e speriamo di aver imparato la lezione perché non ci sarà data un’ altra possibilità».
Lontano dal Palazzo Mauro Magatti, sociologo dell’ Università Cattolica, “regala” alla politica la chance di cui parlava: «Nulla è morto, nulla è cancellato, siamo solo in una fase di cambiamento. Veniamo da un tempo in cui globalizzazione voleva dire espansione, mobilità assoluta, finanza senza regole. Ora c’è l’ esigenza di nuove rilegature». Anche Magatti si ferma qualche istante a riflettere. Poi chiosa: «E non c’è compito più politico di questo». Bisogna guardare avanti e tenere conto della “lezione”. Lo devono fare i politici. E si deve fare nel mondo dei media. Il sociologo va avanti senza cambiare tono di voce. «Tutto è cambiato in pochissimi giorni; i giornali stanno tornando ad essere un luogo dove si impone il potere delle idee e la forza dei fatti. È una prospettiva affascinante. E se davvero la carta stampata dovesse riuscire a partecipare al consolidamento di nuove prospettive sociali non potremmo non tirare un sospiro di sollievo». Prospettive sociali. Forse economiche.

Roberto Napoletano, il direttore del Sole 24 ore (a proposito, fa pensare che il giornale della Confindustria abbia superato la Gazzetta dello sport: un altro segno dei tempi?) con più di un articolo di fondo contribuì a segnare la discontinuità. Ora lo spread sostituisce i litigi tra Berlusconi e Tremonti. L’ Europa – e non la piccola Italia – diventa la sede dove si giocano le partite decisive per la vita di milioni di cittadini. Dei mercati, prima entità sovrannaturali, si cominciano a intuire volti e logiche. E Napoletano riflette partendo proprio da un fondo che lasciò il segno: Fate presto! «Volevamo solo chiedere a tutti di investire sulla causa italiana, di cui la politica è azionista di riferimento. Di puntare sui fatti veri, di lavorare in quella che definisco la “filiera della divulgazione”. Vedo che tutti stanno andando in questa direzione, anche Corriere e Repubblica. Perché è l’ ora di credere e scommettere su una politica che mette al centro l’ Italia e su un giornalismo che si concentra sui fatti. Senza faremo una fatica terribile a uscire dalla crisi». 


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