Signora Maria Romana De Gasperi, Signore e Signori,
è con una certa emozione che intervengo oggi a questo convegno. Ho partecipato a vari incontri organizzati dalla Fondazione Alcide De Gasperi, ma questo è il primo evento al quale prendo parte da Presidente della Fondazione. E’ con piena consapevolezza dell’onore accordatomi e della responsabilità richiestami che ho accolto l’invito ad assumere tale prestigioso incarico. E’ un onore al quale sono molto sensibile, alla luce dell’immensa eredità politica e spirituale lasciataci da uno dei Padri dell’Unione Europea e da un protagonista assoluto della rinascita democratica, civile e materiale dell’Italia e dell’Europa. Specialmente in questi momenti difficili per la temperie economica e politica del Paese e del continente europeo, credo essenziale ispirarci al magistero morale, allo slancio ideale e alla visione lungimirante dello statista trentino.
Mi riprometto di ripagare la fiducia concessami, mettendo massimo impegno ed entusiasmo per fare ulteriormente avanzare il percorso di promozione e diffusione dei valori di libertà, solidarietà e unificazione europea che la Fondazione ha in questi anni tracciato sotto l’alta guida del Presidente Andreotti. E sono grato al Presidente Andreotti e alla Signora Maria Romana per aver manifestato la loro disponibilità a continuare ad aiutarci nel perseguimento di questo importante obiettivo.
Confido anche nella possibilità di sviluppare positive sinergie con altre Fondazioni –in primis con la Fondazione Adenauer- con le quali condividiamo valori, esperienze e una comune missione europeista. Dovremmo puntare a creare una rete internazionale di Fondazioni, Centri e Enti che possano utilmente interagire e costituire insieme un laboratorio di eccellenze capace di rifornire il dibattito politico attuale con vitali energie intellettuali e morali.
Signore e Signori,Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista alla prossima generazione. Questa frase di Alcide De Gasperi è ricordata in questi giorni dal Corriere della Sera. La citazione ha colpito me e il vasto pubblico dei lettori perché evidenzia in modo estremamente efficace l’enorme divario, da un lato, tra i nobili ideali e gli alti valori etici che ispirarono la lungimirante azione di De Gasperi, Adenauer e Schuman e, dall’altro, gli orizzonti circoscritti al dividendo elettorale, i tentennamenti di fronte ai volubili sondaggi e gli obiettivi di breve periodo che spesso contraddistinguono l’attuale leadership europea e il dibattito politico in Italia.
Non di rado, negli ultimi tempi, a privare le politiche europee dello slancio necessario a una più intima prospettiva unitaria sono stati gli egoismi nazionali, i faziosi interessi di parte, le miopi contrapposizioni, l’assenza di visione. E’ allora inevitabile che il dibattito europeistico si sia isterilito e sia diventato incapace di rendere l’Europa vero protagonista politico nel mondo. E a rimetterci siamo tutti noi.
Condivido in pieno le alte parole pronunciate nei giorni scorsi dal Presidente Napolitano, il quale ha ricordato che: “le istituzioni dell’Unione Europea e gli Stati che ne sono parte, nessuno escluso, stanno pagando il prezzo di insufficienze, esitazioni, contraddizioni, su cui ciascuno dovrebbe interrogarsi per la sua quota di responsabilità”. Davanti alla constatazione di questo grande divario tra gli alti ideali del passato e la crisi di leadership del presente, non dobbiamo farci sopraffare dallo sconforto. Al contrario, dobbiamo reagire, provando a infondere nel progetto europeo la visione e il coraggio dei Padri Fondatori.
E’ vero: viviamo un momento di diffusa disaffezione nei confronti dell’Unione Europea. I cittadini si indignano per il fatto di subire scelte che vedono imposte dall’alto, decise da astrusi comitati di tecnici sapienti, privi di mandato popolare. L’opinione pubblica protesta contro decisioni che percepisce come violazioni di sovranità nazionale o addirittura commissariamenti esterni, lamentando il deficit democratico e l’esclusione dalle dinamiche decisionali.
Credo che, oggi, per l’Italia l’azione dell’Europa sia un’opportunità di stimolo ed incoraggiamento perché si facciano finalmente quelle riforme che reticenze e veti incrociati ci hanno impedito di fare. Ad iniziare dalla riduzione del debito pubblico e da una riforma strutturale delle pensioni. Noi italiani, con il terzo debito pubblico al mondo, siamo da tempo coscienti della necessità di un riequilibrio generazionale, essendo insostenibile -oltre che immorale- una situazione che addossa agli incolpevoli figli la responsabilità dei padri. E in cui per giunta la generazione dei figli si trova a vivere -per la prima volta da tempo- in una condizione peggiore rispetto a quella dei padri. Noi italiani siamo consapevoli della necessità urgente di riforme in senso liberale per dare più competitività all’economia e assicurare concrete prospettive di futuro ai giovani delusi. L’economia sociale di mercato, pilastro del popolarismo europeo, è anche in questo la nostra guida e marca i nostri valori.
D’altra parte, quando si scarica sulle Istituzioni europee il peso morale e politico di proprie responsabilità, non ci si accorge dell’ulteriore pericolo di contribuire a una spirale nella quale rischia di avvitarsi la tenuta dell’eurozona e il superiore bene collettivo dell’Unione Europea. Senza l’euro oggi saremmo tutti più fortemente in preda agli effetti drammatici degli attacchi speculativi. Dovremmo essere più cauti nel criticarlo e più convinti nel sostenerlo, non tanto perché a essere in crisi non è l’euro, ma il debito sovrano, quanto perché dietro l’euro c’è l’intero progetto europeo.
Oggi paghiamo semmai il costo della “non Europa”: siamo costretti a rigorose politiche di austerità perché siamo politicamente fragili, perché una vera e propria governance europea non c’è ancora. La speculazione internazionale non ha scommesso solo sull’insolvenza del debito pubblico greco ma anche e soprattutto contro la solvibilità politica dell’intera Unione Europea, puntando sui suoi elementi di debolezza e sulle sue divisioni interne. Se la crisi greca fosse stata affrontata all’inizio con decisione e forte spirito unitario, non ci sarebbe stato il contagio. Ove però si continuasse a invocare l’uso della sovranità nazionale contro l’Europa, nessuno stanziamento di fondi europei -per quanto ingente- potrebbe mai riuscire a dissuadere gli speculatori dal continuare con i loro cinici attacchi.
E allora, mai come in questo momento, si avverte l’esigenza tassativa di più Europa, come l’ha definita il Presidente Napolitano, ossia di compiere quel salto di qualità che richiede il processo di integrazione europea. Da una parte, le Istituzioni europee non sono abbastanza solide e coese da proteggerci da imprudenze e spregiudicatezze di una finanza senza etica e di un irresponsabile accumulo del debito sovrano. Dall’altra,nessun singolo paese europeo, nemmeno il più grande ed efficiente, può “salvarsi da solo”.
Per difendere la credibilità dei singoli Stati membri nelle piazze finanziarie, occorre restituire credibilità all’intero progetto europeo, a partire dal rilancio della costruzione di una vera e propria governance economica. Dobbiamo andare oltre Maastricht, e superare la pretesa illusoria che il rispetto di regole e procedure possa rimpiazzare le scelte strategiche della politica, che l’adempimento meccanico di criteri tecnici e l’automatismo di sanzioni in caso di inadempimento siano in grado di scongiurare ogni crisi, presente e futura. Dobbiamo passare dal governo delle regole al governo delle scelte.
Per resistere all’attacco degli speculatori, dobbiamo passare dal meccanico coordinamento di politiche basato su regole considerate valide una volta per tutte a un governo unitario della politica economica, che possa operare delle scelte a seconda delle sfide che di volta in volta si presentano. In assenza di tale disegno unitario, la speculazione, colpito un Paese, si rivolgerebbe subito dopo a quello successivo nella catena dell’eurozona. E le piccole banche italiane, o francesi o tedesche non potrebbero tenere da sole dinanzi al mare in tempesta. L’ammiraglio deve essere a Bruxelles, non nelle singole capitali. E deve avere gli strumenti adatti a far virare la rotta della flotta quando il radar segnala le secche della recessione o il ciclone della speculazione.
L’Europa deve allora tornare a essere il vero protagonista. E convincere così le piazze finanziarie internazionali che i popoli europei sono ancora fortemente animati dalla volontà politica superiore di difendere i nobili ideali di solidarietà, libertà e unità ai quali si ispirarono i Padri Fondatori. Per ridare slancio al progetto europeo non è al momento opportuno riaprire il vaso di Pandora della modifica dei Trattati. Ma possiamo puntare a utilizzare appieno gli strumenti esistenti.
A trattati invariati, ad esempio, l’art.136 del Trattato UE potrebbe già consentire il rafforzamento della BCE e dotarla di un ruolo analogo a quello attribuito alla FED. In questo modo, i mercati capirebbero immediatamente che sarebbe politicamente esclusa ogni opzione di fallimento di un singolo membro della zona euro. Ricordiamoci che la tenuta del dollaro non è mai stata messa in discussione dal debito dei singoli Stati federali. Eppure, la California è stata più volte sull’orlo della bancarotta e il suo debito incide sul PIL americano più di quanto non faccia la Grecia su quello europeo. E’ la volontà politica superiore a indurre la speculazione ad attaccare chi ne è carente e non quanti sono uniti da un’agenda unitaria.
Non servirebbe una modifica dei Trattati neanche per rafforzare la vigilanza europea su banche e assicurazioni, o per dare vita a un’agenzia di rating europea. Nell’economia globale è fondamentale fare affidamento in soggetti terzi che certifichino in modo trasparente lo stato delle finanze pubbliche e delle compagnie private. Ma la pagella è giusto che l’Europa la riceva da controllori europei, e non da soggetti di altri continenti, che restano per giunta impuniti anche quando commettono gravi errori di valutazione.
Occorre ripartire dal coraggio e dalla lungimiranza dei Padri fondatori. Vorrei richiamare al riguardo alcune profetiche parole pronunciate da De Gasperi. Guardando a un’Europa che iniziava a nascere secondo il metodo funzionalista, lo statista trentino riconosceva che “la costruzione degli strumenti e dei mezzi tecnici, le soluzioni amministrative sono senza dubbio necessarie”. Ma subito dopo egli ammoniva dal rischio di involuzione insito nel “costruire soltanto amministrazioni comuni, senza una volontà politica superiore” E aggiungeva che, “senza vita ideale”, “senza calore” la costruzione europea “potrebbe anche apparire ad un certo momento una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva quale appare in certi periodi del suo declino il Sacro Romano Impero. In questo caso -sottolineava- le nuove generazioni […] guarderebbero alla costruzione europea come ad uno strumento di imbarazzo ed oppressione”.
Per ridare calore e slancio ideale al progetto, ed evitare che l’Europa degli spread e dei pil finisca per apparire alle giovani generazioni come il Sacro Romano Impero in declino, è necessario coinvolgere di più i cittadini. Occorre superare il deficit democratico attraverso la riscoperta della dialettica, della passione per il dibattito e il libero confronto, esprimendo l’esigenza che all’Europa monetaria si affianchi l’Europa politica. E magari eleggere, alla prossima scadenza, il Presidente del Consiglio Europeo con suffragio universale.
E se il nostro Paese deve in questi giorni fare i compiti a casa, con una rigorosa manovra europea per risanamento e crescita, sarei prudente nell’invocare un ricorso immediato alle urne, precipitando il Paese in tre mesi di campagna elettorale con gli spread che volano e il nostro indebitamento che sale. Salvare l’Italia richiede credibilità e responsabilità anche se la tattica o il calcolo elettorale suggerirebbero scelte diverse.
A questo dibattito anche la Fondazione De Gasperi può dare un significativo contributo, promovendo la discussione sulle questioni strategiche dell’Europa. La Fondazione può stimolare l’interesse alla costruzione europea, celebrando i successi di De Gasperi e rievocandone la passione ideale anche attraverso il ricordo dell’amarezza degli insuccessi. Non dobbiamo mai dimenticare che per De Gasperi e gli altri Padri Fondatori non fu facile sostenere, in un’Europa traumatizzata dall’odio fratricida, il principio del “mai più guerre tra noi”. Il loro successo non era scritto da nessuna parte. Prevalsero contro il pregiudizio e l’opposizione preconcetta perché riuscirono ad affermare la forza delle idee nel libero confronto democratico, facendo valere le proprie posizioni ma sforzandosi di capire sempre le ragioni dell’altro.
Alcuni dei loro progetti restano peraltro ancora incompiuti, per quanto essi si siano battuti con forza e determinazione nell’agone politico. Ma da una delusione politica alla quale andò incontro De Gasperi emerge tutta la sua passione europeista Mi riferisco al fallimento della Comunità Europea di Difesa, progetto al quale De Gasperi aveva fortemente creduto. Il rigetto della CED mise a rischio il processo di integrazione e ancora oggi ne paghiamo le conseguenze in termini di frammentazione della politica di difesa europea. Ancora oggi, in un’Europa che si è negli anni dotata di una moneta ma non di una spada, c’è chi continua a preferire formati ristretti a una prospettiva unitaria nel settore della difesa.
Le sconfitte di un padre possono però diventare vittorie per la sua progenie se essa è in grado di raccoglierne il legato di valori per i quali egli si è battuto. La storia di quella battaglia politica evidenzia, più di tanti altri successi, la fede di De Gasperi nell’ideale della costruzione di un’Europa libera e unita. La fiducia in questi valori di libertà ha ispirato il movimento per l’unificazione europea e ci deve sostenere nella nostra azione attuale.
La nostra bandiera, la nostra storia, la nostra identità, la nostra comune civiltà europea hanno un grande passato. E avranno anche un grande futuro se, continuando a ispirarci ai nobili ideali, al coraggio e alla visione di De Gasperi, riusciremo a iniettare più forti “anticorpi europei” nel corpo delle Istituzioni debilitato dalla crisi economica globale, dagli immorali attacchi speculativi, da irrazionali fobie e dalla disaffezione popolare. Auspico che l’agenda europea possa diventare così, senza distinzioni di parte e di partito, l’agenda che ciascun paese debba sviluppare nell’interesse di tutti i cittadini. E in particolare nell’interesse di quelle generazioni future che i Padri fondatori dell’Europa, da autentici statisti, ebbero sempre a cuore nell’elaborazione e attuazione del loro lungimirante progetto politico.