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«Non tutti i Paesi islamici riconoscono che è terrorismo» - Diario Italiano

Intervista

«Non tutti i Paesi islamici riconoscono che è terrorismo»

Frattini: ora pressing sull’ Onu ci sono Stati che restano silenti
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Intervista con “Il Mattino”, di Gigi Di Fiore 

Ministro degli Esteri in due governi Berlusconi, commissario europeo per la giustizia, libertà e sicurezza dal 2004 al 2008, tra i promotori del trattato di amicizia con la Libia di Gheddafi, Franco Frattini è osservatore attento sulle dinamiche internazionali legate al terrorismo islamico. Attualmente presiede la Società italiana per l’ organizzazione internazionale, che svolge la sua attività sotto la vigilanza del ministero degli Esteri.

Presidente Frattini, l’ attentato a Dacca segna un cambio di strategia dell’ Isis?
«Sicuramente, Daesh – e volutamente uso questo termine per indicare l’ Isis, che ha interpretazione dispregiativa anche tra gli islamisti che lo adottano – ha cambiato pelle. Più subisce sconfitte militari sul campo, nei Paesi che questo cosiddetto Stato vorrebbe controllare, più accentua la sua assimilazione e somiglianza alle suicide filosofie strategiche di Al Qaeda».

Significa anche un cambiamento di obiettivi?
«Credo sia una strategia che si prefigge di colpire i governi dei Paesi dove si eseguono gli attentati suicidi, per additarli come inaffidabili e instabili. Vedi gli episodi accaduti negli ultimi tempi in Turchia, in Pakistan e ora in Bangladesh, dove le vittime straniere sono solo bersagli strumentali con l’ obiettivo invece di colpire politicamente i governi di quei Paesi. Ma c’ è anche un ulteriore elemento che mi ha fatto riflettere in questo mutamento di strategia».

Quale?
«Dalle foto diffuse dei terroristi che hanno agito a Dacca pubblicate sui siti Internet vicini a Daesh, emerge un’ età media di giovanissimi, con volti non più barbuti. Significa, a mio parere, che la strategia terroristica da kamikaze cerca solo militanti da usare come carne da macello. Vengono preferiti, quindi, giovanissimi poco esperti, semplici esecutori privi di esperienza la cui morte sicura non potrà danneggiare l’ organizzazione nel suo complesso».

Quali politiche e scelte sono realisticamente percorribili contro la nuova strategia dello Stato islamico?
«Sul campo hanno subito sconfitte e arretramenti, perdendo territori e città.Questo grazie all’ impulso decisivo di Putin e delle milizie di Assad, oltre che di quelle curde, nell’ intervento armato.Ma le missioni suicide, con obiettivo unico la morte di civili e dei kamikaze, hanno finalità destabilizzanti in Paesi dove Daesh vorrebbe fare proseliti.Questo rende difficile elaborare politiche fattibili».

Chi continua a finanziare le attività dell’ Isis?
«Non è un mistero che ricchi simpatizzanti, in Arabia Saudita, foraggino Daesh. Dal 2014, il cosiddetto Stato islamico si è auto finanziato con il traffico di petrolio di contrabbando e il traffico di opere d’ arte. Con la perdita di terreno, queste possibilità economiche si sono assottigliate.Resta alto però il pericolo per l’ Europa, come ha dimostrato il tragico attentato di Dacca».

Un attentato con il più alto numero di vittime civili italiane. È un segnale politico preciso?
«No, è stato un caso. L’ obiettivo era un luogo frequentato da stranieri. In Bangladesh, da tempo gli imprenditori tessili italiani hanno delocalizzato la produzione, con manodopera a basso costo di alta capacità. È il risultato del mercato globale ed è per questo che c’ erano così tanti italiani in quel locale».

Che risposta può dare l’ Italia all’ attentato di Dacca?
«Ci sono due scadenze importanti a fine anno. In primo luogo il segretario generale dell’ Onu spetterà ad un europeo dell’ Est. Poi, l’ Italia entrerà nel consiglio di sicurezza sempre dell’ Onu.Queste due coincidenze possono essere utilizzate per raggiungere un importante obiettivo politico in materia di terrorismo».

A quale obiettivo allude?
«Far passare all’ Onu una definizione accettata da più Paesi possibili sul concetto di terrorismo. Molti Stati islamici resistono, opponendo che il Corano prevede il concetto di martirio.Deve essere l’ Europa più degli Stati Uniti, che nel mondo arabo sono visti ancora come una specie di diavolo, a promuovere questo dibattito così importante».

Un obiettivo giuridico-formale dagli effetti concreti?
«Sicuramente. Se passasse all’ Onu una definizione di terrorista universalmente accettata, ne potrebbe derivare una risposta internazionale condivisa su basi giuridiche certe. L’ estremo oriente asiatico sta diventando uno dei fronti del terrorismo islamico e intendersi sulle interpretazioni di diritto in materia è fondamentale».

L’ Europa deve migliorare la sua politica sul terrorismo?
«Certamente. Già nel 2006 proposi la tracciabilità dei traffici telefonici e della circolazione aerea dei passeggeri in Europa. Dopo l’ attentato del Bataclan si sono resi conto che si era in ritardo e si sono affrettati ad attuare questi provvedimenti».

Non vede realizzabile un’ ipotesi militare italiana, con maggiore presenza di soldati ad esempio in Libia?
«Mandare migliaia di soldati in quei territori serve a poco. Si viene visti solo come degli invasori. Meglio, invece, scegliere la strada degli addestratori come sembra, da notizie mai smentite, stia avvenendo proprio in Libia. I nostri carabinieri sono esperti in materia di antiterrorismo e hanno ricevuto più apprezzamenti dove hanno svolto questo lavoro, come in Iraq e in Afghanistan».


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